Missioni Consolata - Luglio 2020

«A lla fine, con i mili- tanti eravamo di- ventati amici @ ». Non sono parole di Silvia Romano, la ragazza mila- nese rapita in Kenya nel novem- bre del 2018 e liberata nel mag- gio del 2020 dopo essere stata per 18 mesi prigioniera dei terro- risti somali di Al Shabaab, ma quelle - riportate dall’agenzia Adnkronos - di Cosma Russo, di- pendente Agip rapito dai ribelli del Movimento per l’emancipa- zione del delta del Niger (Mend) in Nigeria nel dicembre 2006 in- sieme ai colleghi Francesco Arena e Roberto Dieghi. )TORNERESTI LAGGIÙ?* Quel sequestro si concluse con la liberazione degli ostaggi: il Mend decise di lasciar andare Dieghi nel gennaio del 2007 a causa delle sue condizioni di sa- lute non buone, mentre Arena e Russo furono liberati due mesi dopo, in marzo. Il quotidiano La Repubblica riportando le parole della moglie di Arena ipotizzò che fosse stato pagato un ri- scatto, ma Eni, il gruppo di cui Agip fa parte, ha sempre smen- tito con forza. In una intervista a un giornale on line, Girodivite , Francesco Arena si era detto pronto a ripartire non appena l’azienda gli avesse co- municato la sua nuova destina- zione, aggiungendo di non es- sere interessato a lavorare al pe- trolchimico di Gela, la sua città d’origine, dove si sarebbe sentito più recluso che nella giungla @ . Il sequestro e la sua conclusione furono seguiti dai media italiani: Stefano Liberti del Manifesto riu- scì anche ad andare a intervi- stare Arena e Russo durante la prigionia e al momento della libe- razione erano presenti le teleca- mere delle Iene e il giornalista Massimo Alberizzi @ . Ma la vi- cenda, una volta terminata con il rilascio, non ebbe lunghi strasci- chi di polemiche, di discussioni nei talk show e di particolari ap- profondimenti sui giornali. Nes- sun commentatore all’epoca ac- cusò i rapiti di essere in combutta con i rapitori per aver detto di questi ultimi che erano stati gen- tili, né mise in discussione il fatto che un tecnico di un’azienda pe- trolifera potesse tornare a fare il proprio lavoro in aree pericolose. Tre anni prima, Simona Pari e Si- mona Torretta, cooperanti della Ong Un Ponte Per..., rapite a Ba- ghdad da un gruppo di uomini ar- mati che si definivano «Seguaci di Al-Zahawiri», e rilasciate dopo tre settimane, erano state dura- mente criticate per l’abito tradi- zionale iracheno che indossa- vano al loro rientro in Italia, dopo la liberazione, e per aver dichia- rato che speravano di poter tor- nare in Iraq a lavorare @ . Il quoti- diano Libero le definì «vispe te- rese», diversi commentatori le ac- cusarono di essere delle in- grate @ e nacque un dibattito - abbastanza scomposto e basato su notizie false - sugli stipendi dei cooperanti @ . TRISTE COPIONE A ogni sequestro di operatori della cooperazione si ripete in modo abbastanza simile questo stesso copione: i rapiti vengono accusati di leggerezza, di irre- sponsabilità o addirittura di con- nivenza. Se, poi, un sequestrato, una volta libero, dichiara di voler ripartire, questa sua volontà viene vista come un capriccio o addirittura come una provoca- zione. La stessa intenzione di tor- nare a fare il proprio lavoro an- che in aree a rischio, se è manife- stata da un ingegnere dell’Agip, viene invece a malapena com- mentata. L’impressione è che molta parte dell’opinione pubblica italiana non veda la cooperazione come una professione, ma come un’at- tività che c’entra più con il fare del bene a tempo perso. Il fatto che nei dibattiti, sui social come in Tv, questa visione venga con- trastata opponendole quella agli A ogni rapimento di personale delle organizza- zioni non profit sul campo riemergono una serie di pregiudizi o semplicemente di luoghi comuni legati alla scarsa informazione su un mestiere, quello del cooperante, che in Italia fatica a essere considerato un lavoro vero. cooperando MC R LA RUBRICA DI MISSIONI CONSOLATA ONLUS Sicurezza e cooperazione , facciamo chiarezza di Chiara Giovetti www.missioniconsola taonlus.it 64 luglio 2020 MC

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=