Missioni Consolata - Luglio 2020
bia, durante la traversata o nei progetti. Ma il problema è stato che tutti si trovavano nelle stesse condizioni». Mosso dai forti appelli del papa all’accoglienza, fin dai primi giorni dell’occupazione, l’arcive- scovo di Torino Cesare Nosiglia è intervenuto creando un gruppo di soggetti eterogenei, fra i quali Pastorale migranti, Ca- ritas, Cooperativa O.R.So., Luo- ghi Possibili, al fine di interagire con il comitato e gli occupanti di via Madonna de La Salette. UN MODELLO ALTERNATIVO Il progetto d’accoglienza alter- nativo proposto dal comitato e dagli occupanti al resto del gruppo prevedeva alcune con- dizioni precise: non doveva se- guire tempistiche prestabilite, doveva includere tutti gli abi- tanti, prevedere attività di inseri- mento lavorativo, una gestione condivisa dai residenti secondo decisioni prese in assemblea e un processo di regolarizzazione e ristrutturazione dell’edificio secondo i principi dell’auto re- cupero e della manodopera di chi vi abitava. Nicolò, membro del comitato, racconta: «Per i primi due anni non c’è stato giorno né notte. Eravamo sempre lì con i ragazzi per coordinare la situazione. Nonostante la struttura fosse solida, c’erano molti problemi. La corrente continuava a saltare per l’uso massiccio di piastre elettriche, allora si cucinava a turno, prima un piano e poi l’al- tro, l’acqua calda è mancata fin- ché non abbiamo messo i boiler elettrici». Nel 2015, l’edificio, costituito in ogni piano da camere, cucina e bagni comuni, è stato oggetto di ristrutturazione e riqualifica- zione energetica. Il coinvolgi- mento diretto degli abitanti del palazzo nei lavori di manuten- zione aveva come obiettivo quello di promuovere il senso di appartenenza collettiva alla struttura e di contribuzione alla «residenza collettiva». Nel corso dei mesi si è costituito un comi- tato di cogestione, composto da un rappresentante per ogni piano, un rappresentante della cooperativa e uno del Comitato di solidarietà per i rifugiati. In se- guito, il progetto ha ottenuto il comodato d’uso gratuito dell’im- mobile per 10 anni e, nel 2018, i suoi abitanti hanno ottenuto la residenza. L’obiettivo a lungo termine è che la comunità della Salette raggiunga l’autonomia. Ma la condizione di marginalità che accomuna la maggior parte degli abitanti inficia la loro pos- sibilità di contribuzione econo- mica per le spese della casa. Per cui, attualmente, i residenti pagano un 30% delle spese vive, mentre la diocesi mette il resto. «La gente sta alla Salette fin quando ne ha bisogno, perché magari non ha alternative, o fin- ché se la sente. Questa è la condizione necessaria per co- struire un percorso lavorativo di- gnitoso. Nei centri d’acco- glienza, invece, ti danno vitto, alloggio, assistenza legale e quando hai i documenti ti sbat- tono fuori. Ma se non hai la cer- tezza di avere un tetto sulla te- sta mentre impari l’italiano e cerchi un posto di lavoro, non ce la fai. Ognuno ha i suoi tempi», continua Nicolò infervo- rato. «Non abbiamo creato un modello di accoglienza. Il mo- dello sta nella modalità con la quale abbiamo affrontato la si- tuazione concreta. E si sa che mettere al centro le persone ti crea un mare di problemi, biso- gna avere una pazienza infi- nita». avevano altra scelta se non quella di imbarcarsi. «La dichiarata “Emergenza Nord Africa” è stata gestita con l’ac- coglienza in grandi centri e con- seguentemente con forme di assistenzialismo inutili all’auto- nomia dei singoli. Nei primi mesi del 2013, il momento dell’uscita dai progetti per molti ha signifi- cato affrontare il problema del- l’assenza di una casa», spiega l’antropologa Laura Ferrero, che per un anno ha svolto una ri- cerca all’interno della Salette. «Finito il progetto d’accoglienza, per qualcuno il passaggio alla Salette è stato immediato, per altri è stato intervallato con una permanenza all’ex Moi, altro punto di riferimento per immi- grati di tutta Italia che cerca- vano una soluzione abitativa. Al- tri ancora stavano negli accam- pamenti formali e informali che si creavano attorno agli spazi del lavoro stagionale, come a Saluzzo o a Rosarno. Ognuno aveva attivato le reti sociali di- sponibili: amici conosciuti in Li- Qui a sinistra: l’orto realizzato dai migranti nel cortile della «Salette». Qui sotto: due ospiti della «Salette» mostrano orgogliosi il loro raccolto. Sotto: particolare di una cucina del centro autogestito. * * * MC A 53 luglio 2020 MC Migranti | Emergenza sanitaria | Autogestione | Associazioni
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