Missioni Consolata - Luglio 2020

terruzione improvvisa del la- voro, l’impossibilità di percepire un reddito e la delicata convi- venza in una casa collettiva dove gli spazi devono essere continuamente negoziati. Nel 2016, ho avuto la fortuna di scoprire la «residenza transitoria collettiva» dell’ex occupazione di via Madonna della Salette. Al- l’epoca, la frequentavo come volontaria per dare un supporto ai ragazzi nei corsi d’italiano e in quelli per la patente. Ricordo che un giorno mi presentai a un giovane del Ghana dicendo che mi chiamavo Ama. Lui rimase esterrefatto e poi scoppiò a ri- dere. Mi raccontò che nel suo paese tutti i bambini nati di sa- bato venivano chiamati Ama e da quel giorno mi battezzò «Ama Ghana». Erano momenti semplici e in- tensi, nei quali la conoscenza * ITALIA reciproca e lo scambio culturale era alla base della condivisione. Spesso, verso la fine delle le- zioni, io diventavo la studen- tessa e imparavo a mia volta qualche termine in wolof o bam- bara. Questo luogo mi affascina da sempre per la sua comples- sità e peculiarità. Diversamente da altre esperienze per mi- granti, grazie alle regole e ai principi sui quali è basata la convivenza al suo interno, la Sa- lette permette di osservare da vicino e andare incontro ai biso- gni e alle priorità delle persone che ci vivono. L’OCCUPAZIONE La Salette era stato un pensio- nato per lavoratori e studenti, ptoprietà dei Missionari di No- stra Signora de La Salette, ed era diventata una struttura ab- bandonata finché non ha sup- plito alla necessità abitativa di decine di immigrati e rifugiati la- sciati in strada da un sistema d’accoglienza poco efficace. Il 17 gennaio 2014, in una notte piovosa, è scattata l’occupa- zione, in una mobilitazione per il diritto alla casa, promossa dal Comitato di solidarietà per rifu- giati, costituito da volontari e mi- litanti dei centri sociali torinesi, Gabrio e Askatasuna. I primi oc- cupanti, una quarantina circa, erano un gruppo eterogeneo di famiglie italiane e immigrati pro- venienti dalle palazzine dell’ex Moi (il villaggio olimpico del Lin- gotto, costruito per i giochi inver- nali del 2006, cf. MC dicembre 2015 ), dove vivevano in camere sovrappopolate o negli scanti- nati. Quasi tutti avevano i docu- menti, ma non un tetto. Molti di questi immigrati erano approdati sulle coste italiane nel 2011, du- rante la cosiddetta «Emergenza Nord Africa». Quell’anno, quando scoppiò la guerra civile in Libia, le frontiere del paese arabo furono chiuse e gli immi- grati che cercavano di tornare nei loro paesi non potevano farlo. Venendo a mancare gli ac- cordi presi dal regime di Ghed- dafi con l’Italia per impedire alle persone di partire, gruppi di traf- ficanti approfittarono del caos e del vuoto di potere per organiz- zare le spedizioni verso le coste italiane. Molti immigrati subsaha- riani che lavoravano in Libia non " Su 70 persone solo 7 lavoravano durante l’emergenza. È stato difficile. 52 MC

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