Missioni Consolata - Luglio 2020

dare gli indigeni all’interno della Chiesa, dovendo cambiare certi schemi. Trent’anni fa la Chiesa era chiamata a essere la «voce dei senza voce». Oggi i popoli indigeni hanno voce propria e la Chiesa deve soltanto amplifi- carla. «Non è più ammissibile conti- nuare a vedere gli indigeni come oggetti di studio o sola- mente come vittime e oggetto di benevolenza, ma come com- pagni di cammino, come sog- getti protagonisti della nostra storia, del nostro sviluppo ed evangelizzazione» (Petul Cut Chab Huistán, teologo indigeno del Chiapas). Come ebbe a dire papa France- sco a Puerto Maldonado (Perú): «Più che parlare di “minoranze etniche”, bisogna parlare di “rappresentanti autorevoli” della loro realtà e identità di popoli». «Gentes», appunto, e non mino- ranze. Riprendendo il «vissuto» della missione come fratellanza, mi preme mettere in risalto che questa ha come basi fondamen- tali due elementi: la presenza dei «semi del Verbo» in ogni po- polo e cultura e il paradigma dell’interculturalità. UN RAPPORTO TRA EGUALI I «semi del Verbo» sostengono la saggezza, le varie espressioni alla convinzione, secondo la quale, l’esperienza religiosa dei popoli indigeni è valida ed è stata suscitata dallo Spirito. Per- ciò deve muovere al dialogo in- terreligioso con coloro che si mantengono fedeli alla cosmo- visione e alle esperienze reli- giose dei predecessori, supe- rando i diversi etnocentrismi. COMPAGNI DI CAMMINO È importante superare la paura della scomodità che possono di spiritualità e perfino una vera e propria teologia indigena. Il paradigma dell’interculturalità ci permette di stabilire un rap- porto da uguali fra culture, la- sciando da parte ogni pretesa di superiorità che, per troppo tempo, abbiamo manifestato nel nostro modo di fare missione. Diventa, per noi missionari ad gentes , essenziale scuoterci dal torpore e prendere coscienza della necessità di formarci al ri- guardo sin dai primi anni, in vi- sta del presente e del futuro di quanti scelgono la missione. L’Argentina fa parte di un conti- nente con una ricchissima va- rietà di popoli indigeni. Final- mente riconosciuti, essi non sono solo il passato, ma il pre- sente per qualsiasi società. Come anche per il carisma dei missionari della Consolata, arric- chito dal «cosmo vissuto» di questi popoli. José (Giuseppe) Auletta * 21 luglio 2020 MC MC A Qui e a destra: Asunción (Men doza), padre Auletta si toglie le scarpe in segno di rispetto per la terra indigena degli Huarpe. | In basso: padre Auletta in compagnia di Rubén Díaz ( alla sua sinistra ), arti sta huarpe della Comunità Laguna del Rosario, autore dell’opera chia mata «il Cristo della pandemia». * " Basta vedere gli indigeni come oggetto di studio o solo come vittime o come oggetto di benevolenza. ( * ) Oggi padre Auletta lavora nella provincia di Mendoza, occupan- dosi, su delega del vescovo mons. Marcello Colombo, del territorio denominato «Secano Lavallino» abitato da 11 comunità indigene appartenenti al popolo huarpe. Le comunità sono sparse su una superficie di 700mila ettari (7mila chilometri quadrati). Ne parleremo in maniera approfondita in un prossimo articolo. © archivio Auletta © archivio Auletta © archivio Auletta

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