Missioni Consolata - Giugno 2020
librarsi 82 giugno 2020 MC nome del profitto, ambientato in buona parte nella terra che più amava: la Patagonia. Quando qualcuno gli chiedeva il motivo della sua scrittura, Luis Sepúl- veda diceva: «Dallo scrittore brasiliano Guimarães Rosa ho imparato che raccontare è resi- stere e su questa barricata della scrittura io resisto agli assalti della mediocrità planetaria, alla mostruosa proposta unica di esistenza e cultura che incombe sull’umanità alla svolta del mil- lennio. Per questo scrivo, per la necessità di resistere davanti al- l’impero dell’unidimensionalità della negazione dei valori che hanno umanizzato la vita e che si chiamano fraternità, solida- rietà, senso di giustizia. Scrivo per amore delle parole che amo, e per l’ossessione di dare un nome alle cose a partire da una prospettiva etica, ereditata da un’intensa pratica sociale. Scrivo perché ho memoria, e la coltivo scrivendo della mia gente, degli abitanti emarginati, dei miei mondi emarginati, delle mie utopie derise, dei miei glo- riosi compagni e compagne che sconfitti in mille battaglie, si rial- zano e continuano a prepararsi per le prossime battaglie senza avere paura». Luis Sepúlveda è stato un lati- noamericano coraggioso e coe- rente che ha fatto della lingua la sua patria. Ci lascia un’opera preziosa nella quale ha scritto sugli «scartati», sui mondi emar- ginati, sulle utopie e sulla spe- ranza di un mondo migliore che non morirà mai. Antonella Rita Roscilli menti autobiografici perché la mia espe- rienza amazzonica era stata come un’i- niziazione, l’introdu- zione a un mondo sconosciuto. [In quella spedizione] eravamo in otto, ma dopo due settimane rimasi l’unico a non essermi ammalato. Perciò, gli altri se ne andarono, ma io de- cisi di rimanere. Non sapevo bene dove andare, ma mi dissi che volevo conoscere l’Amazzonia. Così rimasi da solo. All’inizio gli Shuar non si avvicinavano, però ogni giorno mi lasciavano ac- qua, frutta e carne di scimmia per sopravvivere. Poi si ritira- vano nella foresta. Un giorno venni morso da un serpente. Sa- pevo che era velenoso, ma per fortuna il cinturino del mio oro- logio in parte mi protesse. Ta- gliai col machete la testa del serpente e corsi subito dagli in- digeni. Mentre gliela mostravo sentii che avevo già la vista an- nebbiata e persi conoscenza. Quando mi risvegliai erano tra- scorsi sette giorni. Gli indigeni mi avevano curato con le loro potenti conoscenze di erbe me- diche e mi salvarono la vita. Così venni integrato nel loro mondo e vi rimasi sette mesi». N el 1979, Sepúlveda andò in Nicaragua dai sandini- sti che decisero di accet- tare nelle loro file alcune centi- naia di esuli cileni che avevano chiesto di unirsi alla guerra di li- berazione. Poi andò in Europa, ad Amburgo. Due anni dopo di- venne uno dei più noti corri- spondenti della stampa tedesca sulle imprese di Greenpeace , attraversando i mari per quattro anni. Nacquero tanti libri tra i quali: «La frontiera scomparsa», «Patagonia express», «Appunti dal Sud del mondo», «Incontro d’amore in un paese in guerra», «Le rose di Atacama», «La gab- bianella e il gatto» e «Il mondo alla fine del mondo», romanzo sullo scempio del pianeta in ove riscoprì la sua passione per il teatro e si dedicò a rappresen- tazioni clandestine contro la dit- tatura. Avrebbe raccontato tutto in «Storie ribelli». Erano tempi durissimi durante i quali in Cile vi furono tanti desaparecidos . Venne arrestato una seconda volta e la giunta militare lo pro- cessò ufficialmente condannan- dolo ad un’ergastolo che poi, su pressione di Amnesty Interna- tional , fu commutata nella pena di otto anni d’esilio. Trascorse circa due anni e mezzo in car- cere. Il 17 luglio del 1977 gli fu permesso di lasciare il Cile. Ri- mase per poco tempo in Argen- tina, poi passò in Brasile e quindi arrivò a Quito, in Ecua- dor. Qui entrò in contatto con una realtà che avrebbe influen- zato molto la sua opera lettera- ria, ma anche la sua attività di militante e strenuo difensore della natura. Partecipò, infatti, a una spedizione dell’Unesco ed ebbe così l’opportunità di vivere per sette mesi nella selva amaz- zonica con il popolo indigeno shuar. Gli Shuar (o Jívaro) si ubi- cano nella regione orientale del- l’Ecuador e in una parte nel Perù settentrionale, sui pendii delle Ande. Il termine Jívaro (Ji- baro) in realtà è dispregiativo, perché significa «barbaro». Essi si autodefiniscono Nijínmanya Shiwiár (ossia Shuar) che, nella loro lingua, significa «popolo». Vengono chiamati anche «i di- fensori della natura» e hanno re- sistito nei secoli sia al dominio dell’Impero Inca che a quello degli spagnoli. Attualmente si ri- trovano a lottare per la difesa del proprio territorio e della pro- pria cultura, contro l’occidenta- lizzazione e l’espansione delle multinazionali. Proprio basan- dosi sui ricordi della convivenza con loro, Luis Sepúlveda nel 1988 avrebbe scritto «Il vecchio che leggeva romanzi d’amore», che divenne il suo maggiore successo internazionale. Una volta, durante una lunga intervi- sta, volle ricordare il tempo tra- scorso con gli Shuar e a questo proposito raccontò: «Quando scrissi “Il Vecchio che leggeva romanzi d’amore” usai molti ele-
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