Missioni Consolata - Giugno 2020

MC R 73 giugno 2020 MC di dignità che ogni ammalato portava dentro di sé, facevo in modo che i lebbrosi si unissero per coltivare la terra, creando luoghi di accoglienza per i più deboli. Cercavo soprattutto di far crescere tra loro uno spirito di gruppo e un certo orgoglio per le conquiste raggiunte. Credo di averli aiutati a ritrovare il rispetto per se stessi e a darsi un’organizzazione interna per non vivere totalmente allo sbando. Volevi trasformare una terra di morte in un luogo di vita. Vero. Nel 1984, un medico ame- ricano che aveva vsitato il luogo diversi anni prima, tornando era rimasto sopreso di trovarlo com- pletamente trasformato. Non c’erano più le sordide capanne che avevo trovato al mio arrivo, ma i lebbrosi stessi avevano co- struito, con l’aiuto del vescovo e di benefattori, due villaggi con case circondate da giardini e orti, strade e impianti per l'ac- qua. C’era un ospedale ben fun- zionante, gli orfanotrofi, due chiese e un cimitero. E poi feste, vita religiosa, processioni e la banda musicale. Come hai fatto? Al Signore avevo chiesto solo di rimanere in salute. Mi occupai del mio doppio orfanotrofio di bambini lebbrosi che erano più di 40. La metà di loro, molto avanti nella malattia, non dovet- tero aspettare molto per andare in Cielo. Da parte mia viaggiavo tanto per recarmi da una comu- nità all’altra. Alla domenica, ce- lebravo di solito due messe, mentre per quattro volte alla settimana insegnavo il catechi- smo e impartivo due volte la be- nedizione del Santissimo Sacra- mento. Mi ero messo anche a fumare la pipa per difendermi dall’insopportabile odore di carne in disfacimento che am- morbava l’aria circostante e che a volte provocava svenimenti fra la gente anche in chiesa. A sinistra: padre Damiano nel 1878. Sopra: mappa di Molokai e posizione del lebbrosario nell’isola. Qui sotto: con il coro delle ragazze di Kalawao a Kalaupapa, Molokai, circa 1978 (foto di pubblico dominio). * Caro padre Damiano sapevi che offrendoti volontario per assistere i lebbrosi di Molokai ci saresti rimasto tutta la vita? Andando a Molokai si doveva obbligatoriamente risiedervi, perché il governo locale temeva il contagio e proibiva di lasciare la penisola lebbrosario nella quale erano stati concentrati tutti i lebbrosi del regno. Il tasso di mortalità era molto alto: pensa che ci furono ben 183 de- cessi nei primi otto mesi della mia presenza. Come vivevano i lebbrosi? Rivecevano dal governo cibo e vestiario, ma erano abbandonati a se stessi, in misere capanne dove vivevano in grande promi- squità. La lebbra sfigurava la loro carne, ma c’erano altre leb- bre più profonde, quelle morali. Abbandonati a se stessi e senza speranza, vivevano i pochi giorni che rimanevano loro in orge, ubriacature e violenze, sfruttamento reciproco, costrin- gendo le donne alla prostitu- zione. Anche i lebbrosi cristiani, lasciati a se stessi, avevano molta difficoltà a mantenere viva la propria fede. Come hai fatto a guada- gnarti la stima e l’affetto di tutti? A Molokai oltre che essere sa- cerdote, facevo il medico, il pa- dre, curavo le anime, lavavo le piaghe, distribuivo medicine, cercavo di stimolare quel senso

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