Missioni Consolata - Giugno 2020
tante dell’Oms, signora Pascale Brudon, che in quei giorni mi contattava cercando di rassere- narmi. A un certo punto le chiesi però di partire per raggiungere Carlo all’ospedale di Bangkok e, nel contempo, di mandare i miei figli in Italia, dato che essi non potevano vedere Carlo essendo lui in isolamento. Deciso il piano, non ebbi il tempo di pensare a nulla. Né di salutare i tanti amici che ave- vamo nella capitale vietnamita e che anche dopo mi sarebbero stati molto vicini. In fretta e furia preparai le valigie mettendo dentro lo stretto necessario. In quel momento non sapevo che non saremmo più ritornati ad Hanoi. Il solo desiderio era quello di poter vedere Carlo. I ragazzi ed io partimmo il 18 marzo, accom- pagnati in aeroporto dal perso- nale dell’Oms. Arrivati a Bangkok, i miei figli sarebbero ripartiti il giorno dopo per l’Italia. Ricorderò sempre quel mo- mento: la loro partenza da soli e io che li salutavo, con le lacrime agli occhi. Vedo ancora Tom- maso, non ancora sedicenne, che si incammina con Madda- lena, quasi tre anni, in braccio che piange, e Luca, tenuto per mano, disperato, che si gira a guardarmi mentre si allonta- nano. Una scena che rivedo spesso, soprattutto in questo periodo. I momenti successivi pur- troppo non li ricordo molto bene. Troppo forti furono il dolore, la paura di non riuscire a farcela da sola. Il pensiero di do- ver raggiungere l’ospedale e vedere Carlo in brutte condi- zioni prendeva il sopravvento su tutto. Ma cercavo di farmi corag- gio. Sapevo che dovevo mettercela tutta, che Carlo sarebbe stato fiero di me, visto che mi incitava sempre a fare da sola e a non dipendere ogni volta da lui, come può capitare quando si vive in un paese straniero. I giorni successivi passarono tra l’ospedale e l’albergo dove al- loggiavo. Quando andavo in ospedale, accompagnata dal personale dell’Oms di Bangkok, speravo di vedere Carlo miglio- rare, avere buone notizie dai medici. Purtroppo non era così. Entravo nella sua stanza com- pletamente protetta, ma la vesti- zione era sempre angosciante. Nel frattempo organizzava riu- nioni con l’ambasciatore italiano ad Hanoi, Luigi Solari, nel suo ufficio, con tutto il personale, per aggiornare sulla situazione. Le direttive erano quelle di oggi: stare assolutamente chiusi in casa. Passarono alcuni giorni e dopo essere riusciti a convin- cere il governo vietnamita a chiudere le frontiere e isolare il paese, l’11 marzo Carlo partì per Bangkok. Durante il volo si manifestarono però i primi sintomi della malat- tia: febbre e tosse. Si rese su- bito conto della gravità della cosa, tanto da avvisare, al suo arrivo all’aeroporto, il personale medico: questo avrebbe dovuto stare distante e accompagnarlo in ospedale con le necessarie precauzioni. Parlai con Carlo la sera, quando al telefono mi informò che - pur- troppo - non stava bene ed era in ospedale. Ricordo che ero fuori casa e che sentii mancare la terra sotto i piedi. Da quel momento comin- ciarono i giorni della preoccupa- zione, della paura e dell’impo- tenza. Stavo a casa con i miei fi- gli pensando a cosa fare, a come si sarebbe potuta risol- vere la situazione; alla salute di Carlo che sentivamo al telefono ogni giorno sempre più provato e affaticato, visto l’aggravarsi della malattia. Comunque, a dispetto della si- tuazione drammatica, Carlo ci rassicurava sempre. Ci diceva di non essere preoccupati, era sicuro che tutto si sarebbe ri- solto. I giorni trascorrevano, ma io non riuscivo più ad aspettare, perché, stando ad Hanoi, non potevo rendermi conto con esattezza della sua salute. Ero in contatto con la rappresen- Virus | Pandemia | Sistemi sanitari | Cina | Vietnam A destra: Carlo Urbani a Oslo nel 1999 come presidente di «Medici senza frontiere»; in quell’anno all’organizzazione venne asse gnato il Premio Nobel per la pace. | A sinistra: Carlo visita una bam bina vietnamita. * MC A 53 Giugno 2020 MC © Archivio AICU " All’aeroporto di Bangkok, Carlo avvertì le persone di stare lontane e di accompagnarlo in ospedale.
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