Missioni Consolata - Giugno 2020
* ITALIA BRASILE 30 giugno 2020 MC Dal fiume Po al rio Branco DomAldo, combattente «suomalgrado» L o ricordo così. Mite e pacato. La voce bassa, le parole quasi sussurrate. Il volto come scolpito nella pietra e lo sguardo austero, serioso, che all’improvviso si apriva in un sorriso appena accennato. Dieci anni orsono ebbi il privilegio di raccogliere le sue memorie poi pubblicate nel libro «Roraima tra profezia e martirio: testimonianza di una Chiesa tra gli indios» (2010) 1 . Una storia incredibile quella di Aldo Mongiano, nato nella seconda decade del Novecento in una valle pie- montese da cui, per raggiungere la città della Fabbrica italiana automobili, il viaggiatore doveva utilizzare un calesse trainato da cavalli che lo conduceva alla sta- zione ferroviaria più vicina. Nelle epoche precedenti, ricorda Mongiano nell’intro- duzione al libro, il viaggio era ancora più disagevole: «Era comune prendere un barcone e affidarsi a uo- mini robusti che spingessero il carico. Uno trascinava la barca facendo forza sul fondo sassoso del fiume con il remo, ed un altro, camminando sulla spiaggia, lo ti- rava con una corda legata alle spalle. Questa pratica, che avevo appreso da giovane osservando scene sul fiume che bagna il mio paese, sarebbe stata la me- tafora di tutta la mia vita». In Brasile, dom Aldo, come da lì in avanti sarebbe stato chiamato, arrivò dopo una lunga esperienza in Mozambico che aveva da poco conquistato l’indipendenza: «Non sapevo che, più tardi, mi sarei trovato coinvolto, mio malgrado, nel processo di emancipazione di un piccolo popolo oppresso dalle pratiche neocoloniali della società do- minante». Mongiano confessa nelle sue memorie, di aver sempre agito - nelle particolari circostanze in cui si sarebbe trovato coinvolto - «suo malgrado». Mal- grado la consapevolezza dei propri limiti e il senso di inadeguatezza che lo accompagnava. Anche il ruolo di vescovo lo aveva accettato solo per non portarsi dietro per tutta la vita il peso «di non aver ascoltato la voce di Dio»: «Quando seppi che papa Paolo VI voleva affidarmi la guida della diocesi dell’allora Territorio federale di Roraima pensai alle mie limitate capacità, alla mia debole preparazione teologica». E all’America, così lontana culturalmente, così «moderna». S ulla pista di atterraggio della capitale Boa Vista, lo accolse una bambina con in mano un mazzo di fiori e altre persone accorse a vedere il nuovo ve- scovo. La natura tropicale e l’indolenza della popola- zione, la città vuota con l’unico semaforo sempre spento, gli diedero l’impressione di essere giunto in un luogo tranquillo. L’illusione di serenità durò poco. Durante la prima vi- sita in area indigena, dom Aldo scoprì che gli indios, che pure costituivano la maggioranza della popola- zione erano schiavi dei fazendeiros che avevano in- vaso le loro terre e dipen- denti dall’alcol. Nel 1977, nel corso di un’assemblea cui partecipò anche dom Tomás Balduíno della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile, i tuxawa (capi indigeni), fe- cero un’esposizione toc- cante della loro situa- zione: costretti a lavorare senza essere retribuiti; accusati di reati che non ave- vano commesso; forzati a lasciare le loro terre dopo aver visto le case e le piantagioni bruciate, si stavano convincendo del fatto che non restava loro che ces- sare di essere indios e diventare «Bianchi» oppure rassegnarsi a una vita da emarginati. Le autorità si mostravano indifferenti se non apertamente ostili. L’incontro con Tomás Balduíno e poi con Bartolomè Melià, gesuita sostenitore del popolo guaraní, furono decisivi: il vescovo si convinse che la Chiesa di Ro- raima doveva levare la propria voce in favore degli ul- timi, gli indigeni, «i più poveri tra i poveri». Una scelta che comportò la nascita di tensioni con i vertici della Fondazione nazionale per gli indigeni (Funai) e con le autorità. Queste proibirono ai missionari di en- trare in area indigena, mentre alcuni deputati furono autori di proposte di legge che, incentivando lo sfrut- tamento minerario, erano di natura genocida. Nella memoria di dom Aldo, gli anni ‘80 furono i più burrascosi, ma anche i più belli. Furono gli anni della liberazione dalla dittatura militare, dell’instancabile lavoro di coscientizzazione degli indios, della rivendi- cazione delle terre e dell’identità indigena anche gra- zie al progetto visionario Uma Vaca para o Indio . Negli anni ‘90, l’impegno dei missionari della Consolata guidati dal loro vescovo a fianco degli indios del la- vrado (savana) e degli Yanomami, determinò la rea- zione di vari settori del potere locale, le cui accuse tro- vavano ampio spazio anche sui media nazionali. Il vescovo Mongiano era additato un nemico del popolo di Roraima. Nel 1996, anno in cui la terra Raposa Serra Sol («della Volpe e della Montagna del sole») venne riconosciuta come area indigena, dom Aldo lasciò la guida della diocesi per raggiunti limiti di età 2 . Il senso della sua missione lo traccia lui stesso nell’e- pilogo del libro, citando la storia di quel marinaio che salva un bambino caduto in mare durante una tempe- sta: «Il comandante, alla sera, organizza una festa in suo onore. Ma il marinaio, pur grato per il riconosci- mento, ammette: “Non l’avrei salvato se qualcun altro non mi avesse spinto”». Silvia Zaccaria (antropologa) ( 1 ) Il pdf del libro è scaricabile dal sito della rivista. ( 2 ) Gli successe Apparecido José Dias (1996-2004). Dom Apparecido era a quel tempo anche presidente del Cimi. Fondò Radio Roraima e il movimento Nós existi- mos . Strenuo difensore dei popoli indigeni fu oggetto come dom Aldo di attacchi personali.
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