Missioni Consolata - Giugno 2020
que tappe che raccontano la storia della marcia degli schiavi. Il percorso culmina alla Porta del non ritorno. Il monumento sorge su una bellissima spiag- gia, la stessa nella quale gli schiavi venivano caricati sulle scialuppe che li avrebbero por- tati alle navi. I più combattivi o disperati preferivano suicidarsi lasciandosi affogare piuttosto che partire verso l’ignoto. Oggi la colossale porta affaccia su quello stesso mare blu in- tenso. QUOTIDIANITÀ DELLA MORTE Lungo le strade che conducono a Cotonou la morte va in scena con una normalità impressio- nante. Minimarket, bar, benzinai e bancarelle di cibo si alternano a negozi che espongono sulla strada polverosa i feretri d’occa- sione. Trasportati poi con mezzi di for- tuna (legati a motorini talvolta, o su traballanti ape car) dal nego- zio agli ospedali o alle case, ri- cordano in ogni momento come il confine fra la vita e la morte in questo luogo sia estremamente labile. rico eccessivo di persone, merci, animali. Le piroghe hanno poi un altro ruolo essen- ziale: solo con esse infatti è pos- sibile raggiungere le due fon- tane che garantiscono acqua potabile alla popolazione. L’ac- qua del lago infatti è salmastra, dunque non potabile. LA VIA DEGLI SCHIAVI La già citata Ouidah non è fa- mosa solo per il vudù. Qui tro- viamo infatti anche «la strada degli schiavi». Il passato di que- sta città è tristemente legato alla tratta degli schiavi. Sorgeva proprio a Ouidah un importante mercato di esseri umani. Il dolore per l’ingiustizia subita è oggi celebrato a imperi- tura memoria con questo per- corso che ci guida attraverso l’intera cittadina. A Ouidah è possibile cammi- nare, come in una vera via cru- cis, lungo i quattro chilometri che migliaia di uomini e donne hanno fatto incatenati, partendo dal mercato degli schiavi, la- sciandosi alle spalle le proprie famiglie a la propria libertà. Lungo la strada si trovano cin- MC A 15 MC Negli ospedali, spesso male at- trezzati a causa delle condizioni del paese, le camere mortuarie straripano. Il rapporto con il corpo di un caro defunto pare essere assai meno «forte» di quello che abbiamo noi occi- dentali, e i lavoranti delle ca- mere mortuarie trattano i corpi con meno cura di quella che noi ci aspetteremmo. Sebbene a un primo sguardo possa essere scioccante, qui forse l’essere umano, anche se non per scelta, ha meglio com- preso l’idea di caducità della vita. I funerali vengono seguiti in modo composto, da una folla vestita di bianco, che accompa- gna il proprio caro al luogo della sepoltura fra canti e silenzi. Una foto a grande formato, come un quadro, viene posta davanti al corteo, a memoria del defunto. La vita, poco dopo, può ripren- dere il proprio corso. Valentina Tamborra
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