Missioni Consolata - Maggio 2020
narie da cui è nato un movi- mento di laici che ha dato vita alla casa Milaico di Nervesa della Battaglia (Tv). Quest’attività di animazione in Italia è stata per me un’espe- rienza missionaria tanto ricca che ancora oggi mi dà gioia e condivido. Dopo 15 anni, nel 2005, la “mis- sione ad gentes” mi ha chiamato di nuovo, e sono passato dalla frenesia dell’Occidente alla selva amazzonica del Caquetá, in Colombia, dove il tempo sem- bra fermo. Arrivato lì, ho capito che nell’Amazzonia sono le per- sone che gestiscono il tempo, non è il tempo che comanda la nostra vita. In questo momento sono nella parrocchia Nostra Signora della Mercede, proprio la missione nella quale avevo fatto, nella Pasqua del 1987, la mia prima esperienza missionaria. Dal 2017 sono parroco di questa im- mensa parrocchia che allora contava quasi 100 villaggi». Che lavoro svolgi oggi? «Mi trovo nel luogo più bello del mondo. La selva amazzonica co- lombiana, una volta considerata periferia del mondo, oggi è cen- tro d’interesse per chi la vuole sfruttare. I missionari della Consolata sono arrivati qui nel 1952 per ac- compagnare le comunità indi- gene. Oggi la nostra presenza è ascoltare il grido della selva e stare con la popolazione di que- sta terra abbandonata e indi- fesa. Sono parroco con un bellissimo gruppo di evangelizzatori: quat- tro suore missionarie serve del Divino Spirito, tre missionari della Consolata, un laico missio- nario della Consolata e anima- tori e catechisti locali. In più, da quest’anno ci sono anche due seminaristi dell’arcidiocesi di Bu- caramanga per l’anno pastorale. Il nostro lavoro è quello di ac- compagnare le persone di que- sto immenso territorio. Ci sono villaggi che riusciamo a visitare una volta l’anno. Cerchiamo di seguire i giovani che sono quelli a maggior rischio di arruola- mento nei gruppi armati. Visi- tiamo continuamente le famiglie, perché la vicinanza alle persone è fondamentale. Oggi la sete di Dio è molto forte, ci sono però proposte da parte delle nuove chiese evangeliche che sconvol- gono la vita delle famiglie». Quali sono la difficoltà e la soddisfazione più grande della tua missione? «Molte volte, di fronte alla realtà, ci si sente piccoli, impotenti. Im- pressiona come l’ondata di vio- lenza e narcotraffico che ha vis- suto questa regione abbia di- strutto molti valori umani e cri- stiani. In più, la continua mobilità delle persone che cercano la- voro e sicurezza rende difficile avere una comune cultura di base su cui fondare il lavoro di evangelizzazione. La soddisfazione più grande è il fatto che sto vivendo il sogno della mia vita: essere missiona- rio in uno dei territori più belli del mondo con le sue bellezze, la sua gente e le sue sfide». Quali sono le sfide? «Tra le sfide più grandi ci sono sicuramente l’indifferenza e il re- lativismo. Nel nostro territorio: la perdita dei valori umani per il problema del narcotraffico, e la distruzione della selva. Ma an- che la difficoltà di tenere in- sieme una popolazione pluriet- nica con una storia attraversata dalla violenza. La presenza delle nuove chiese evangeliche che stanno confondendo la mente e il cuore della gente. Oggi altre sfide missionarie sono la cura delle minoranze etniche, delle popolazioni afro, delle zone iso- late del paese, dove la comuni- cazione è scarsa, ma anche delle grandi città». Come affrontarle? «Stando a fianco alla gente, alle comunità dei villaggi, visitando le famiglie, formando le co- scienze, in particolare i giovani». Puoi raccontare un episodio significativo della tua vita missionaria? «L’incontro con una signora molto povera all’inizio della mia vita missionaria. Lei viveva nella periferia di Bogotá. Un giorno sono entrato nella sua casa. Lei stava seduta ad allattare un bambino. Sulla tavola ho notato un libro. L’ho preso in mano: era la Bibbia. Per iniziare un dis- corso le ho detto: “Vedo che legge la Parola di Dio”. Lei mi ha risposto con una frase che ha marcato la mia vita: “È l’unica speranza per noi poveri”». Ci regali uno slogan per i gio- vani che si avvicinano ai no- stri centri missionari? «Vedendo quello che sta succe- dendo nell’Amazzonia direi: “Giù le mani dall’Amazzonia”, oppure: “Giovani! Guardiani della casa comune”, o “Giovani! Custodi della casa comune”». Luca Lorusso 77 maggio 2020 amico MC AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT © Af MC
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