Missioni Consolata - Maggio 2020
ssier © Teseum del convivere anziché del convertire; della neces- sità dell’apprendimento dalla cultura di coloro che coltivano altre credenze; della valorizzazione dei loro saperi e della loro peculiare e intrinseca spiritualità; della compenetrazione reciproca; dell’armonizzazione intima e paritaria tra Van- gelo e saggezza indigena; delle opportunità di sintesi tra cristianesimo e religioni sconosciute e senza nome; dell’interculturalità come linguag- gio polifonico; dell’ascolto del pensiero altrui provvedendo a una sospensione ( epoché ) dei propri criteri di giudizio e delle proprie convin- zioni; del considerare e rendere gli indigeni pro- tagonisti dell’attività missionaria; del ricercare un percorso condiviso così da non convivere sola- mente e limitarsi a stare insieme, bensì cammi- nare insieme; del ricercare insieme, umilmente e fattivamente, forme più proponibili di umanità; del progettare insieme, in forma collaborativa, un futuro migliore per l’umanità - l’insistenza su questi temi fa capire che il discidium tra Vangelo e cultura, che per Paolo VI era «senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre» ( Evangelii nuntiandi , par. 20 - Denzinger 2003: 4578), tende ad attenuarsi. La distanza tra Vangelo e cultura appare assai meno accentuata: non sono più le culture a dover essere evangelizzate (§ 2); è anche il van- gelo che potrebbe presentarsi come una cultura: una cultura a cui si vuole essere fedeli e tuttavia una cultura umana in mezzo ad altre culture umane. Molti missionari nelle loro relazioni hanno posto in luce come la convivenza e l’interazione con le culture indigene abbiano plasmato la loro esi- stenza, abbiano mutato in senso positivo le loro convinzioni di partenza. Non ho mai sentito nes- suno esprimere a tal proposito la preoccupazione avanzata da Giovanni Paolo II nell’enciclica Re- demptoris Missio , il quale metteva in guardia circa «i pericoli di alterazione che si sono a volte verificati», con la rinuncia alla «propria identità culturale», coincidente con il Vangelo e la verità cristiana (par. 53). Allo stesso modo, in nessuna relazione a cui ho assistito mi pare sia emersa la convinzione, presente invece nella stessa enci- clica, secondo cui le culture umane, in quanto prodotte dall’uomo, sono inevitabilmente «se- gnate dal peccato» (par. 54): una definizione ne- gativa e svalutativa delle culture umane, le quali hanno manifestamente bisogno di un pro- gramma di salvazione dal peccato per essere utili all’umanità. Al contrario, ho sentito dire che Dio è presente in quei luoghi, nelle loro culture, nelle loro forme di umanità. Un tempo i missionari camminavano insieme ai civilizzatori, oggi invece camminano insieme alle vittime della civiltà. “ 50
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