Missioni Consolata - Maggio 2020

ssier © Abel Kavanagh / Monusco conoscenza: una volta giunti sul terreno della missione, occorre impegnarsi per conoscere a fondo «la storia, le strutture sociali e le consue- tudini dei vari popoli». Come si può notare, l’ac- quisizione del concetto di cultura induce a completare la figura del missionario con una vera e propria preparazione antropologica ed et- nologica: egli non sarà soltanto un etnologo, perché - come vedremo - il suo compito non è solo conoscitivo; ma per svolgere il suo compito, il missionario dovrà comunque conoscere a fondo la cultura della società presso cui intende recarsi. E così, in veste di studioso, egli dovrà in- dagare e venire a conoscenza delle «idee più profonde» che le società «in base alle loro tradi- zioni, hanno già intorno a Dio, al mondo, al- l’uomo» (par. 26). È veramente notevole l’apertura che il decreto Ad gentes dimostra per gli aspetti più preziosi e in un certo senso più in- timi e segreti di una cultura. Senza alcun dubbio è il concetto di cultura - fatto valere a proposito di coloro che un tempo venivano definiti «primi- tivi» e «selvaggi» - ciò che induce a trovare in loro e a valorizzare idee di ordine teologico, co- smologico, antropologico. La cultura presa in considerazione dal decreto Ad gentes e attribuita alle popolazioni del mondo è in effetti ricca e complessa: non è più la cultura povera ed ele- mentare di coloro che dovevano essere spinti, a forza, sulla strada del «progresso». I dissidi tra evangelizzazione e culture Come si è detto, il missionario di Ad gentes non è però soltanto colui che conosce da vicino e in- timamente la cultura della società presso cui opera. Egli deve compiere all’interno della cul- tura un minuzioso lavoro di selezione. In un ar- ticolo di alcuni anni fa - a cui rimando per even- tuali approfondimenti (Remotti 2011) - ho propo- sto alcuni brani, che qui riproduco in maniera sintetica: 1) nella Costituzione sulla sacra liturgia ( Constitu- tio de sacra liturgia ) «Sacrosanctum Concilium» (1963) si stabilisce di distinguere ciò che «nei co- stumi dei popoli… è indissolubilmente legato a superstizioni ed errori» e ciò che invece non lo è. Ciò che non è superstizione ed errore, la Chiesa «lo considera con benevolenza», «lo conserva inalterato» e «lo ammette nella liturgia stessa» (par. 37 - Denzinger 2003: 4037); 2) nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa ( Constitutio dogmatica de Ecclesia ) «Lumen Gen- tium» (1964) si ribadisce la distinzione tra ciò che nelle culture umane può essere conservato e ciò che va rifiutato. «Le capacità, le risorse e le con- suetudini di vita dei popoli», che sono conser- vate in quanto «buone», vengono - inoltre - purificate, consolidate, elevate (par. 13 - Denzin- ger 2003: 4133). Dieci anni dopo il Concilio Vaticano II, Paolo VI emana l’esortazione apostolica ( Adhortatio apo- stolica ) «Evangelii nuntiandi» (1975) in cui si pre- cisa ulteriormente il rapporto tra evangelizzazione e cultura. In questo testo deci- sivo appaiono evidenti l’importanza e l’impre- scindibilità della cultura sotto il profilo antropologico, come quando si afferma che gli uomini risultano sempre «profondamente legati a una cultura ( sua certa cultura imbuti sunt )», di cui evidentemente non possono fare a meno, a tal punto che la stessa «costruzione del Regno», secondo i dettami del Vangelo cristiano, «non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane» (par. 20 - Denzinger 2003: 4577). 48 maggio 2020

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