Missioni Consolata - Maggio 2020
ssier 46 maggio 2020 © Federico Scoppa / GPE terzo tipo di missionari - se si accetta questa ti- pologia improvvisata, fondata soltanto sull’espe- rienza personale - era alquanto vivida e veniva confermata da quanto mi disse uno di quei mis- sionari, il quale viveva presso un gruppo di pig- mei. Riassumo in questo modo le sue parole: «Intendo la mia missione solo come una testi- monianza; non impartisco ordini né suggeri- menti; cerco di vivere come loro e secondo i dettami del Vangelo». Quel giovane missionario mi faceva anche capire che «”loro”, i pigmei, gli erano umanamente grati» di ciò. In questo modo, «era riuscito a farsi considerare un amico, un compagno. Nulla di più». Ma forse non c’è proprio bisogno «di più». Quel «nulla di più» in realtà «è tanto»: è niente di meno che condivi- sione di umanità, di una qualche forma di uma- nità. La fede nel «progresso»: dall’esaltazione al ripensamento Missionari e antropologi hanno molte cose in co- mune: tra queste il fatto di essere eredi di cer- tezze, le quali si possono riassumere nella credenza di un progresso universale. Ovvia- mente, qui mi riferisco ai primordi dell’antropo- logia, allorché tra Ottocento e Novecento essa riteneva di poter collocare le società che andava studiando nei diversi continenti in una serie gra- duata di stadi di progresso, di forme di umanità sempre più perfezionate, culminanti nella civiltà contemporanea. E per quanto riguarda i missio- nari, che cos’è se non un’idea di progresso inces- sante quella contenuta nel concetto di implantatio ecclesiae ? Come ci ricorda padre Mario Menin (2016: 13, 24-25), l’espressione, risa- lente agli Atti degli Apostoli e alle Epistole pao- line, si ritrova nei padri della Chiesa (Agostino), nella teologia scolastica (Tommaso d’Aquino), per riapparire - infine - nella missiologia mo- derna, la quale «nella prima metà del secolo scorso ne fa una “bandiera di guerra” per defi- nire il fine delle “missioni estere”». «Nel conte- sto coloniale», sottolinea ancora Menin (2016: 16), «missione» assume le sembianze ora di un’opera civilizzatrice di popoli «primitivi» e «selvaggi», ora di «conquista» di nuove terre a Cristo, attraverso la sconfitta e la sostituzione delle altre religioni e, più tardi, delle ideologie anticristiane, come il comunismo e l’ateismo. Un secondo punto di convergenza tra antropo- logi e missionari può essere intravisto nel suc- cessivo abbandono, sia pure in tempi diversi, della fede nel progresso universale. Il rapporto tra gli antropologi e le società indigene non è più mediato dall’idea di progresso: è invece la «cul- tura» ciò che conferisce dignità di studio a so- cietà pur illetterate, prive di scrittura, dotate di una cultura materiale e di una tecnologia assai meno elaborate di quella occidentale. Perché la cultura (antropologicamente intesa) è sufficiente a conferire dignità di studio? Perché gli antropo- logi intravedono idee, valori, persino sistemi di idee e di significati, forme di pensiero profonde e raffinate nelle lingue e nelle pratiche sociali, nei La credenza nel «progresso» collocava antropologi e missionari su un piano superiore di civiltà e gli indigeni su un piano inferiore. “
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