Missioni Consolata - Maggio 2020

ssier © Vincent Tremeau / World Bank Photo Qui: nei pressi dell’ospedale cittadino di Beni, nel Nord Kivu. | A destra: barche tradizionali a pesca sul lago Kivu nella provincia omonima. le dieci capre e consegnarle con un ritmo ritua- lizzato ed estenuante, visto che con la moneta il problema del compenso - se proprio si doveva mantenere questa idea - poteva essere risolto in un batter d’occhio? Anche questo cambiamento (soldi invece di capre) rientrava nel progresso, nello sviluppo: la monetarizzazione era condizione e segno dell’ac- cesso alla modernità. Teologia e tecnologia Pure i Banande avevano diritto di lasciare alle spalle il sottosviluppo, la stagnazione e accedere al mondo moderno. L’impegno dei missionari consisteva ovviamente nel tentativo di impedire che questo avvenisse sotto l’egida del più brutale capitalismo o all’insegna di movimenti di sini- stra. Sotto questo profilo, l’acquisizione delle in- novazioni tecnologiche appariva come un passo necessario e inevitabile, da compiere però nel- l’ambito della Chiesa e della parrocchia. In sin- tesi, mi sia consentito citare questo brano: «Da parte di alcuni [missionari] vi era persino l’idea di dover competere con i movimenti di si- nistra: la sfida era coinvolgere la popolazione in progetti, in cui coabitassero temi evangelici, come la solidarietà, l’acquisizione di un maggiore benessere, grazie a processi di sviluppo locale, la valorizzazione dell’associazionismo indigeno. Teologia e tecnologia andavano a braccetto: il Dio evangelico era dispensatore di turbine, con cui si alimentavano alcuni piccoli mulini e si por- tavano luce e corrente elettrica nei villaggi e nelle case» (Remotti 2017: 50). Il Dio dei cristiani, gli dèi degli altri Il Dio evangelico era pur sempre il Dio che nel Primo Testamento ebbe a dire di sé: «Io, il Si- gnore, tuo Dio, sono un Dio geloso». Quindi, «non avrai altri dèi oltre a me» (Esodo 20, 5; Deuteronomio 5, 7). Nel capitolo IV di Contro l’identità ho riportato l’episodio della reprimenda a cui fu sottoposto un vecchio giudice, nonché decano dei catechisti della parrocchia, allorché i missionari vennero a sapere che costui venerava sì in chiesa il Dio dei cristiani, ma nel contempo continuava a fare sacrifici agli avalimu , gli spiriti della tradizione: «Anche noi - mi diceva K. - ab- biamo i nostri avalimu » (Remotti 1996: 40). Questo vecchio giudice non intravedeva alcun problema di coesistenza tra il Dio dei cristiani - giunto dalle loro parti negli anni Quaranta del Novecento (un Dio senza dubbio importante, a giudicare dal potere degli europei e dalle risorse di cui anche i missionari disponevano) - e le loro divinità. Perché mai si sarebbe dovuto scegliere? Per questo vecchio saggio non c’era alcun motivo di rifiutare il Dio arrivato con gli altri, da lontano e dotato di tutti i beni di cui gli europei facevano sfoggio. Del resto, non era forse sufficiente che altri credessero in una loro divinità per ammet- terne l’esistenza? Perché mai, in base a quali mo- tivi, ricorrendo a quali criteri si dovrebbe negare Perché mai negare l’esistenza delle divinità altrui? “ 44 maggio 2020

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