Missioni Consolata - Maggio 2020
40 maggio 2020 tipi di missionari, in cui mi ero imbattuto fin dall’inizio della mia esperienza: i coloniali e i conciliari. Il primo tipo: i missionari coloniali Il primo tipo era rappresentato da missionari an- ziani - per lo più belgi e olandesi - i quali erano approdati in quella parte del Congo durante il periodo coloniale. Ciò che colpiva il mio sguardo esterno erano in particolar modo i dispositivi di separazione rispetto alla gente: le case dei mis- sionari chiuse, accuratamente recintate, vigilate e custodite non solo dal personale di guardia, di giorno e di notte, ma anche da cani, addestrati a latrare minacciosamente nei confronti dei neri. L’atteggiamento di questi missionari nei con- fronti di catechisti e di preti indigeni era inoltre improntato a un rigoroso senso gerarchico: i missionari, detentori - per la loro stessa origine europea - della verità evangelica, erano senza alcun dubbio i superiori, mentre catechisti e preti indigeni (a prescindere dal loro curriculum) erano gli inferiori. Del resto, la cultura europea in cui i vecchi missionari coloniali si erano formati era fortemente segnata da un’impostazione razzi- stica o quanto meno razziologica: nell’Europa di allora, tra Ottocento e Novecento, le razze erano ritenute da tutti come dati di fatto, e l’antropolo- gia di cui i missionari coloniali erano portatori era un sapere fortemente biologizzante, che po- neva le razze a fondamento di ogni altra consi- derazione. Non v’è dunque da meravigliarsi che il razzismo fosse un tratto normale del loro com- portamento, indiscusso e quasi naturale. Ho potuto conoscere di persona alcuni di questi missionari coloniali. ssier A proposito di missionari e antropologi Ci sono stati i missionari «coloniali» e i missionari «conciliari». C’è stato il tempo delle «razze» e il tempo delle «culture». Queste, a loro volta, potevano entrare in contrasto con concetti quali «sviluppo» e «progresso». Un antropologo racconta i cambiamenti intervenuti. L’ANTROPOLOGO D a tempo nutro un autentico interesse nei confronti dei modi con cui i mis- sionari rappresentano se stessi e la loro attività in un mondo sempre più coinvolgente e interconnesso. Pochi anni fa ero stato interpellato perché espo- nessi alcune mie riflessioni sull’argomento per Missione Oggi , la rivista dei missionari saveriani. Il titolo di quel modesto contributo - «I missio- nari visti da un antropologo» - non deve trarre in inganno: esso non significa «i missionari in ge- nerale», ma certe figure di missionari che un an- tropologo, o aspirante tale, ha incontrato nella sua ricerca sul campo. Quel contributo conte- neva alcune precisazioni, che riproduco come punto di partenza del mio intervento 1 . Nonostante sia stato sempre ben consapevole del ruolo storico svolto dai missionari nei diversi continenti, non ho mai affrontato questo tema a livello generale e neppure nei contesti di mia di- retta conoscenza (intendo dire soprattutto il Nord Kivu della Repubblica Democratica del Congo). L’obiettivo della mia ricerca tra i Ba- nande (o Nande) del Nord Kivu riguardava in ef- fetti non già la situazione «attuale», bensì ciò che a partire dalla situazione attuale si poteva recuperare della loro cultura prima delle trasfor- mazioni indotte dalla colonizzazione e dall’atti- vità missionaria. Le mie considerazioni iniziali nascono quindi non da studi appositi, bensì soltanto da esperienze e frequentazioni con i missionari incontrati du- rante l’arco temporale delle mie ricerche tra i Ba- nande, tra il 1976 e il 2013. Nel contributo citato avevo messo in luce due di FRANCESCO REMOTTI (1) Questa è la versione adattata della relazione tenuta dal prof. Remotti al convegno sulla missione organizzato a Roma dai missionari e missionarie della Consolata (ot- tobre 2019). | Le parentesi con autore e anno qui riportate rimandano ai testi elencati nella bibliografia di pag. 51. | Alcune delle foto pubblicate sono di fotografi di Monu- sco, la «Missione delle Nazioni Unite per la stabilizza- zione nella Repubblica democratica del Congo».
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