Missioni Consolata - Aprile 2020

4 chiacchiere con... Ma il tuo re era filonazista? No. Anche lui si era illuso che l’alleanza con la Germania e la restituzione dei territori perduti potesse riparare le ingiustizie della conclusione della Prima guerra mondiale, combattuta (e persa) al fianco della Germania e dell’Austria. Ma non concor- dava con il nazismo e, poi, con lo sterminio degli ebrei. Va ri- cordato che era in stretto con- tatto con monsignor Angelo Roncalli (il futuro Papa Giovanni XXIII), allora nunzio apostolico a Istanbul. Con la sua collabora- zione era riuscito a far partire molti ebrei per la Palestina. Aveva anche cercato di evitare la loro deportazione obbligando gli uomini ebrei validi a lavori forzati di pubblica utilità. In più, il re aveva rifiutato, il 14 agosto, la richiesta di Hitler di inviare l’e- sercito bulgaro alla (disastrosa) campagna di Russia. Purtroppo però, il re morì improvvisamente il 28 agosto 1943. Hitler non accettò volentieri il suo rifiuto e c’è il fondato so- spetto che il re fu avvelenato. 74 aprile 2020 MC narlo a morte, come fece con altri venti deputati che avevano firmato la sua lettera di prote- sta. Ci fu però un piccolo mira- colo. Il suo difensore ebreo, Joseph Nissim Yasharoff, estrasse il classico coniglio dal cilindro e ricordò alla corte che Pešev nel 1936, quand’era mi- nistro della giustizia, aveva sal- vato dalla condanna a morte Damian Velchev, il nuovo mini- stro della guerra, autore del golpe comunista attuato con l’arrivo dell’Armata Rossa. Pešev ebbe così solo quindici anni di carcere e dopo un anno fu rilasciato. Il gulag gli fu risparmiato solo grazie all’inter- vento di un suo vicino di casa, responsabile della cellula comunista del quartiere, che Pešev aveva salvato a suo tempo dal licenziamento. Dopo la guerra Pešev visse dimenticato da tutti. Gli ebrei, nel ‘49, lasciarono in massa la Bulgaria per trasferirsi in Israele. Negli anni ‘60, superate le difficoltà dell’emigrazione, iniziarono a inviare aiuti a chi li aveva salvati: Pešev ricevette stabilmente del denaro e delle lettere che lo ringraziavano per la sua azione. Gli fu proposto di recarsi in Israele, ma egli rifiutò: voleva prima essere riabilitato nel suo paese. Morì senza avere questa soddisfazione. Don Mario Bandera In quella situazione anche la mia posizione era tutt’altro che facile. Morto il re, ci fu un reg- gente, perché il successore era ancora un bambino, poi gli av- venimenti precipitarono con la vittoria dell’Armata Rossa che liberò il paese dai nazisti, ma diede mano libera ai partigiani comunisti. E tu, continuasti con la politica? Subito dopo il conflitto mi diedi da fare per riscoprire e valoriz- zare gli ideali democratici della vita pubblica e m’impegnai per il cambiamento politico nel mio paese e per il suo riallinea- mento con l’Occidente. Dimităr Pešev, commise però il «grave errore» di denunciare pubblicamente in parlamento il comportamento dei partigiani comunisti, che stavano conse- gnando il paese ai russi. Ciò gli costò molto caro al mo- mento dell’occupazione della Bulgaria da parte dell’Armata Rossa. Pešev fu processato con l’accusa di essere antisemita e antisovietico. Nel corso del pro- cesso l’accusa arrivò a insi- nuare che avesse salvato gli ebrei in cambio di denaro. Tale accusa fu categoricamente smentita dagli ebrei giunti ap- positamente da Kjustendil per difenderlo. La corte era ugual- mente intenzionata a condan- Il titolo di questa intervista è stato suggerito dal libro: Gabriele Nissim, L’uomo che fermò Hitler. La storia di Dimit ă r Pe š ev che salvò gli ebrei di una nazione intera , Mondadori, Milano 1999. *

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