Missioni Consolata - Marzo 2020
MC R 69 marzo 2020 MC noi la voglia di reagire alla situazione dittatoriale in cui vivevamo. Il generale Rafael Leónidas Trujillo, andato al po- tere nel 1930, gestiva la nazione come un vero padrone, anche della vita delle persone. Quindi è dal contesto familiare che nacque il desiderio di una vostra militanza politica? In un certo senso sì, ma tutto divenne più chiaro quando Minerva, diventata avvocato, non ottenne la licenza di prati- care la sua professione perché il 13 ottobre 1949, durante la festa di san Cristobal organizzata dal dittatore per le classi più ricche della nostra città, lei lo aveva sfi- dato apertamente in presenza di una folla numerosa rifiutando il suo corteggiamento e soste- nendo le proprie idee, che ovviamente contrastavano con quelle del dittatore. Come conseguenza foste coinvolte negli avvenimenti sociali e politici, alcuni tragici per l’odio e la violenza che scatenarono contro di voi. Parecchi nostri amici si schiera- rono con noi e anche le nostre famiglie presero una posizione netta contro il dittatore Trujillo. Nel contempo nell’intera società dominicana cominciava a spun- tare un’opposizione sempre più decisa nei confronti della ditta- tura. Di voi tre chi era la più decisa nel portare avanti la linea che vi eravate date? Senza ombra di dubbio Minerva. Fu lei che con un gruppo di amici il 9 gennaio del 1960 tenne nella sua casa la prima riunione degli oppositori politici al regime. Quell’incontro segnò la nascita dell’organizzazione clandestina rivoluzionaria «Movimento del 14 giugno», di cui il marito di Minerva, Manolo Tamarez Justo, fu eletto primo presidente. Anche lui fu poi as- sassinato nel 1963. Il nome del movimento veniva da un fatto di sangue, il massacro di alcuni giovani per mano degli sgherri di Trujillo, a cui Minerva aveva assistito mentre partecipava a un ritiro spirituale. Minerva fu dunque l’anima del movimento di opposi- zione? In un’epoca in cui predomina- vano valori (o per meglio dire anti valori) tradizionalmente «machisti» di violenza, repres- sione e forza bruta, dove la dittatura non era altro se non l’iperbole della sopraffazione, in quel mondo maschilista suda- mericano, mia sorella Minerva dimostrò fino a che punto e in quale misura la volontà e la coscienza femminile sono una forma di dissidenza al potere. Una presa di posizione, la sua, subito imitata da altri amici e conoscenti che die- dero vita a un robusto movi- mento contrario al regime. Ben presto anche Maria Teresa e il marito, che già da anni erano attivisti politici, furono coinvolti in questa onda crescente del «Movimento 14 giugno» e an- ch’io con mio marito sce- gliemmo di aderire. Non vole- vamo che i nostri figli cresces- sero in un regime corrotto e ti- rannico. Dovevo lottare contro di esso con tutte le mie forze, di- sposta anche a dare la mia vita, se necessario. La vostra opera coraggiosa di aprire le coscienze dei vostri concittadini si estese a macchia d’olio su tutto il territorio della Repubblica, e divenne tanto efficace che il dittatore Trujillo in persona arrivò ad affermare: «Nella mia azione di governo ho solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal». Insieme formavamo un bel gruppo e ci davamo da fare per far conoscere alla gente i nomi di coloro che erano uccisi dal regime. Ci firmavamo «Las Mari- posas», le farfalle, adottando per tutte quello che era il nome clan- destino di Minerva. Nell’anno 1960 le mie sorelle Minerva e Maria Teresa furono incarcerate due volte; la se- conda volta condannate a cin- que anni di lavori forzati con l’accusa di avere attentato alla sicurezza nazionale. Ma i gesti e gli attestati di solidarietà che giunsero da tutto il mondo co- strinsero il dittatore Trujillo a rilasciarle anche se furono messe agli arresti domiciliari. Anche i vostri mariti subirono la stessa sorte? Sì, anche loro vennero imprigio- nati e torturati.
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