Missioni Consolata - Marzo 2020

ssier Sebbene l’architettura dell’Accordo di Parigi sia rimasta in piedi e si sia registrata la volontà delle parti di aumentare l’ambizione per il 2020, quando a Glasgow i 196 stati porteranno nuovi piani nazionali di decarbonizzazione, il summit di Madrid ha segnalato la presenza di un grosso problema politico internazionale di difficile solu- zione. Si sono messi di traverso Trump, che vuole l’America fuori dall’Accordo di Parigi e che ha già presentato la richiesta formale di uscita (effettiva dal 4 novembre 2020, un giorno dopo le pros- sime elezioni presidenziali Usa), e Jair Bolsonaro, deciso a devastare l’Amazzonia. Questo ha messo in allarme Cina ed Europa, che però non hanno saputo trovare la quadra all’in- terno di un negoziato che già era iniziato con il piede sbagliato a causa dello spostamento della sede della Conferenza delle parti (Cop) dal Cile, che inizialmente avrebbe dovuto ospitare l’in- contro ma che in quei giorni era scosso da forti tensioni politiche, alla capitale spagnola. Ostaggi dei poteri fossili La presidenza cilena del summit di Madrid, guidata da Carolina Schmidt, considerata da tutti inadatta nella gestione del processo negoziale della Cop25, ha dovuto prendere atto del fallimento: «Oggi, come nazioni, siamo rimasti in debito con il pianeta», ha lamentato la Schmidt, nel linguaggio onusiano. «Gli accordi raggiunti dalle parti non sono sufficienti per affrontare con urgenza la crisi dei cambiamenti climatici». Il segnale che viene fuori è pessimo: «L’Unfccc è ostaggio dei poteri fossili», spiega Serena Giacomin, presidente di Italian climate network . «Non possiamo permettere che gli interessi di alcuni possano far naufragare il negoziato e mettere a repentaglio la vita di tante persone. Serve, oggi più che mai, pressione dal basso, non Da Kyoto a Glasgow Il primo grande accordo fu il Protocollo di Kyoto, firmato nel 1997, in vigore fino al 2020. Ratificato da 192 parti della Unfccc, compresi l’Ue e i suoi paesi membri, non vede però tra i suoi aderenti alcuni dei grandi inquinatori mondiali. De facto regola solo il 12% circa delle emissioni globali. Questo fa capire come il Protocollo, sebbene sia stato fondamentale, specie in Europa, sia insuffi- ciente per la sfida attuale. Inoltre allo scopo di includere Usa, Cina e altre grandi potenze dentro il quadro internazionale, si è lavorato per trovare un nuovo framework , con un diverso tipo di vincoli e basato su piani nazionali indicati dagli stessi paesi, nel rispetto della scienza e della sovranità di ogni paese. Dopo un primo fallimento a Copenaghen nel 2009, nel 2015, a Parigi, grazie a un forte accordo politico tra Usa e Cina, le nazioni del mondo hanno approvato a larga maggioranza una nuova architettura internazionale, quella dell’Accordo di Parigi, che entrerà in vigore quest’anno, dopo cinque anni di regime provvisorio, con il nego- ziato di novembre 2020 a Glasgow. Dal 2015 a oggi sono proseguiti i negoziati Onu per completare i meccanismi di attuazione del- l’Accordo di Parigi e il «Libro delle regole» per evitare problemi. A livello internazionale il cuore del sistema è la Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici “ Il fallimento di Madrid 2019 A dicembre 2019, però, a Madrid non si è rag- giunta l’intesa finale per chiudere sull’ultimo ele- mento dell’Accordo di Parigi rimasto aperto: quello della finanza climatica che avrebbe per- messo ai singoli paesi di scambiare quote di emissioni, comprandole da progetti di mitiga- zione in altre parti del mondo e facendole conta- bilizzare a proprio nome. 44 marzo 2020 © Emanuele Bompan Qui: Canada. Miniera e impianto di processamento di sabbie bituminose a Fort McMurray.

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