Missioni Consolata - Marzo 2020
A colloquio con Elaine Moreira, professoressa all’Università di Brasilia e studiosa di popoli indigeni e di Warao. B oa Vista . Elaine Moreira, antropologa e do- cente ordinaria all’Università di Brasilia (*), ha lavorato a lungo a Roraima, in partico- lare sui popoli indigeni presenti nelle zone transfrontaliere. La incontriamo a Ka Ubanoko, mentre sta conducendo un’indagine in collabora- zione con la Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) sulle condizioni di vita dei Wa- rao. «I primi di loro sono arrivati a Roraima nel 2014. Si incontravano per strada e ne parlavano i giornali, ma non si sapeva chi fossero. Talvolta, erano con- fusi con popoli autoctoni. C’erano in particolare mamme con bimbi che mendicavano agli incroci. Questo primo gruppo fu espulso dalla polizia fede- rale, perché non in possesso di documenti». Negli anni successivi gli arrivi si ripetono. «Le auto- rità - racconta Moreira - provarono a espellerli tutti, ma società civile, università, defensoria pubblica (organo statale che fornisce assistenza giuridica gratuita, ndr ), intervenendo con una ingiunzione in tribunale riuscirono a impedirlo». Finalmente, nel gennaio 2017, il Ministerio publico federal fa realizzare uno studio da due antropologhe per capire qualcosa di più di questo popolo. «Da quel momento in poi lo stato non ha più potuto dire di non sapere chi sono i Warao. Purtroppo però non si è riusciti a coinvolgere la Funai ( Fundaçao nacio- nal do indio ), l’ente federale, che si occupa di popoli indigeni. Neppure oggi la Funai si interessa dei Wa- rao, presenti ormai da cinque anni in diversi stati del Brasile». Dalle città venezuelane a quelle brasiliane «In Venezuela i Warao vivono in un’area molto de- licata dal punto di vista ecologico. Il delta dell’Ori- noco, con i suoi 3mila canali. In certe zone c’è stato un impatto molto grande a causa di una diga che ha isolato una parte e reso salino il suolo (diga sul ca- nale Manamo, 1965), facendo perdere loro molte ri- sorse. È poi entrata l’industria del legno e quella del petrolio. Si sono sviluppate alcune città, come Tu- cupita e Antonio Diaz. Tutti fattori esogeni che li hanno indeboliti». Da non trascurare l’epidemia di colera che si è diffusa in Sudamerica a inizio anni ‘90: nel delta ha colpito duro, uccidendo oltre 500 indigeni. Nei loro racconti ancora oggi riaffiora la paura della malattia. «In seguito - spiega ancora l’antropologa - ci fu un periodo in cui parte della famiglia andava nelle città del Venezuela a mendicare e vendere artigianato per strada, mentre l’altra parte stava nelle comunità di origine a occuparsi delle terre. Si trattava di un flusso di andata e ritorno. Le forze dell’ordine spesso li riportavano nelle loro zone di origine. Questo ha funzionato per anni, fino all’arrivo della crisi economica». La crisi generalizzata ha acuito la questione della mancanza di cibo e la scarsità di medicine. Così il Warao ha cercato altri sbocchi, in particolare in Brasile. «Hanno già un’esperienza su come “occupare” la strada. Di solito, sono gruppi con diverse donne, ma anche alcuni uomini per proteggere e negoziare i luoghi. La vera novità è che diventano migranti: passano la frontiera e hanno bisogno di documenti. prendere le proprie decisioni. Questa è la grande contraddi- zione: l’alimentazione è dentro a Pintolandia, mentre in Ka Uba- noko c’è l’autonomia ma non c’è alcuna garanzia di riuscire a sfa- marsi». «Noi diciamo - conclude Ventura - che, se la politica migratoria porta a questo, ha fallito comple- tamente, perché impone una scelta capestro, soprattutto alle famiglie con bambini». YAKERA? Camminando tra i profughi ospi- tati a Pintolandia, arriviamo a un gruppo di tende dove si stanno facendo le pulizie. Sono stati portati all’aperto i materassi e stesi i panni. «È piovuto dentro», ci spiega un indigeno. Nei pressi di una di esse salu- tiamo con un «Yakera!», pen- sando di essere gentili e fare cosa gradita. Macché. «Siamo E’ñepá», ci fa presente una ra- * BRASILE VENEZUELA L’antropologa Migranti, ma sempre indigeni 16 MaRZO 2020 MC © Paolo Moiola * Luis Ventura - sentono che que- sta rigidità sta bloccando la loro possibilità e capacità di sognare e di prendere decisioni. Mi hanno detto che non possono continuare a vivere semplice- mente per avere garantito un piatto di cibo». E continua: «Purtroppo la gente deve scegliere tra la garanzia di avere da mangiare, che esiste solo negli abrigo , e la garanzia di avere autonomia e libertà per
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