Missioni Consolata - Marzo 2020
anni, è a Pintolandia con la mo- glie da un anno. Sua figlia è nata qui. In Venezuela sono ri- maste la mamma, una sorella, una cugina. «Ma altre tre sorelle - spiega - sono già a Manaus. Vogliamo andare avanti per mi- gliorare, perché qui non stiamo facendo niente. Vorremmo po- ter mandare qualcosa alla fami- glia in Venezuela. Per tutto que- sto penso di andare a Manaus per cercare lavoro». SOTTO LE TENDE Fuori del grande capannone sono state montate delle tende e alcuni tendoni. Qui gli ospiti MC A tenitori in polistirolo: le fatidiche marmitas . Met- tiamo tutto negli scatoloni che abbiamo portato con noi. Ringraziamo e ci avviamo verso l’uscita con la cena per 70 persone. Fuori dell’ abrigo ci sono alcuni migranti che vorrebbero avere una marmita. Non sono insistenti, ma la situazione è spiacevole, so- prattutto perché non possiamo accontentarli. Ci è infatti fatto divieto assoluto di consegnare cibo nei pressi del centro. In fila e in silenzio Terminate le operazioni di carico sul pick up di pa- dre Oscar, ci dirigiamo verso Ka Ubanoko, dove l’organizzazione interna è già stata allertata. Quando arriviamo, troviamo un’illuminazione molto scarsa. La sola cosa che si distingue è lo sgangherato cancello d’entrata. Ad attenderci ci sono due cacique ai cui gruppi oggi sono destinate le marmitas . Scarichiamo tutto in pochi secondi. Un cacique effettua la distribuzione sul posto: i benefi- ciari si mettono in fila per ricevere il loro pasto. L’altro cacique porta via le sue marmitas . Lo se- guiamo verso l’interno del campo, dove - nono- stante non siano ancora le 22,30 - regna una grande tranquillità. Dobbiamo stare attenti a dove met- tiamo i piedi perché ci sono pochissime luci. Il caci- que si ferma nei pressi dello spazio dove alloggia con la propria famiglia - una stanza in nudo ce- mento e senza gli infissi -, e inizia la distribuzione. L’operazione si svolge con ordine e praticamente in silenzio. Chi parla, lo fa sottovoce. Qualche bam- bino apre subito la marmita ricevuta dalle mani del cacique. Oggi contiene riso, un pezzo di carne e al- cune verdure cotte. A Ka Ubanoko non si soffre la fame. Le persone ospitate - oltre 600 - in un modo o nell’altro rie- scono ad avere cibo sufficiente. Quello che manca, e probabilmente mancherà a lungo, è il lavoro o al- meno una prospettiva di futuro che non sia la per- manenza in un campo profughi, non importa se spontaneo o ufficiale. M.B. - P.M. Operazione «marmitas» Per unpugnodi riso Nei rifugi ufficiali ( abrigos ) gli ospiti hanno i pasti assicurati. Spesso ne avanzano. Recuperarli e distribuirli è compito dell’«operação marmitas». Migrazioni | Popoli indigeni | Ambiente B oa Vista. La telefonata arriva durante la cena. Padre Oscar Liofo risponde al suo cel- lulare sottovoce e in pochi secondi. Alla fine annuncia: «Questa notte, operação marmi- tas ». Detta così, l’affermazione suona come uno scherzo. Invece, si tratta di una cosa seria e soprat- tutto utile. In portoghese, il termine «marmita» in- dica un contenitore per cibo d’asporto. Succede che nei rifugi ( abrigos ) ufficiali, quelli gestiti dall’eser- cito brasiliano nell’ambito dell’Operazione acco- glienza ( Operação acolhida ), quasi ogni sera venga avanzato un certo numero di pasti. Due (su 11 totali a Boa Vista) di questi rifugi - Nova Canaã e Jardim Floresta - sono in contatto con padre Oscar. Quando c’è cibo in sovrappiù, l’ufficiale di turno chiama il missionario perché passi a ritirare i pasti avanzati per distribuirli a chi ne abbia bisogno, in particolare agli ospiti di Ka Ubanoko, il rifugio autogestito. Saliamo in auto. «Mi raccomando - avverte il mis- sionario - voi siete dei volontari che mi state aiu- tando. Quindi, niente foto, niente domande da gior- nalisti nell’ abrig o. Soltanto il vostro aiuto ma- nuale». Tra le stellette dell’esercito Il campo di Nova Canaã è ben recintato. C’è soltanto un ingresso. Oltrepassato il quale ci si trova al co- spetto di giovani soldati seduti davanti agli schermi di un paio di computer. Non si passa senza identifi- cazione. Per noi è un’utile occasione per guardarsi attorno. Non ci sono tende ma, su un lato, oltre trenta casette prefabbricate e, in fondo, un tendone che protegge i tavoli e le sedie della mensa, oltre a un grande televisore acceso. In mezzo, uno spiazzo non pavimentato dove stanno giocando una decina di bambini. Nel frattempo, all’ingresso è arrivato l’ufficiale re- sponsabile. Saluta con cordialità il missionario della Consolata e gli chiede chi siano i suoi aiutanti di oggi. Tutto a posto: possiamo passare. Seguiamo l’ufficiale in un container adibito a dispensa al cui interno si gela. Ad attenderci una settantina di con- sono più esposti alle bizze del tempo, ma hanno più luce e più ricambio d’aria. Incontriamo al- cune donne warao che, ai lati di una tenda, stanno produ- cendo oggetti artigianali (con- tenitori, vassoi, braccialetti, ec- cetera) usando le fibre della palma. L’artigianato è una delle poche attività lavorative che i migranti warao riescono a svol- gere in Brasile. Per questo e Sopra: i 5 cacique (su 9) dell’abrigo di Pintolandia che hanno parlato con noi. | Qui a sinistra: una distri buzione di «marmitas» (nella foto, sono i contenitori bianchi ) nella notte di Ka Ubanoko. * * 13 MaRZO 2020 MC
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