Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2020
4 chiacchiere con... Paolo VI, nel proprio apparta- mento in Vaticano. Ma i tedeschi, sentendosi traditi, non avevano inten- zione di mollare la presa. Per niente! La Gestapo, sotto la regia del colonnello Herbert Kappler, per compiacere il desi- derio di vendetta di Hitler, aveva organizzato l’«Opera- 70 gennaio ~ febbraio 2020 MC Era una realtà squallida e avvi- lente, dappertutto c’era dolore e sofferenza. Anche se il nostro era un campo di lavoro e non di sterminio, eravamo trattati con brutalità, senza pietà per nes- suno, nemmeno per le nume- rose donne e bambini che vi erano detenuti. La dura vita del campo, il poco cibo (che divi- devo con coloro che reputavo ne avessero più bisogno di me) e il glaciale freddo invernale, fe- cero deperire ulteriormente il mio fisico già gracile e provato. Quali sono le cause della tua morte? Il 24 agosto del 1944 gli anglo- americani bombardarono il la- ger - non si è mai capito il per- ché di tale azione assurda con- tro chi era già vittima dei nazisti - e la baracca dove ero fu di- strutta. In quell’occasione ripor- tai gravissimi danni al braccio si- nistro che fu ustionato fino al- l’osso. Venni ricoverata nell’infermeria improvvisata nella casa di tolle- ranza usata dai guardiani del la- ger, ma là fui intenzionalmente abbandonata per molto tempo senza assistenza, poi fui final- mente operata per fermare la cancrena dovuta alle ustioni e mi amputarono il braccio. zione Abeba» per catturami e deportarmi. Ingenuamente io caddi nella trappola da loro pre- disposta. Fui invitata a presen- tarmi a Villa Wolkonski, sede dell’ambasciata tedesca a Roma, con la scusa di una te- lefonata da parte di mio marito dalla Germania. Ero ansiosa di parlare con lui e non sapevo che invece era già stato arre- stato ed era chiuso nel campo di concentramento di Flossem- burg perché sospettato di aver aiutato il suocero, mio padre, il re d’Italia, a sbarazzarsi di Mus- solini. Era il 22 settembre 1943 quando mi presero, e fui subito imbarcata su un aereo con de- stinazione Monaco di Baviera, da dove poi fui trasferita a Ber- lino, città in cui mi sottoposero a estenuanti interrogatori. Infine fui deportata nel lager di Bu- chenwald, dove arrivai il 18 otto- bre. Come ti hanno trattata? Non hanno avuto riguardi per me. Quando arrivai nel campo di concentramento, possedevo solo i vestiti che avevo addosso al momento dell’arresto. Le mie richieste per avere indumenti e biancheria pulita furono sempre respinte. Non ti permisero neppure di rivelare la tua vera identità. Non solo, per scherno i nazisti mi chiamavano Frau Abeba. Fui rin- chiusa in una baracca riservata a prigionieri particolari che non la- voravano e ricevevano il vitto delle SS, poco migliore di quello dei prigionieri comuni. Con noi c’era anche Rudolf Breitscheid, membro di spicco del partito so- cialdemocratico e delegato al Reichstag durante l’era della Re- pubblica di Weimar, e sua mo- glie. A me venne assegnata come compagna di stanza la si- gnora Maria Ruhnau alla quale in segno di riconoscenza, regalai l’orologio che portavo al polso. Per caso fui notata da un prigio- niero italiano che mi riconobbe, così la voce della mia presenza si diffuse tra gli altri internati. Per una persona abituata agli agi, la realtà del campo di concentramento deve es- sere stata traumatica.
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