Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2020

è maturato. Sono certa che que- sto viaggio abbia contribuito a farlo diventare l’uomo che è adesso, con le sue fragilità e con la sua forza. Un ragazzo splen- dido, che mi rende orgogliosa di essere sua madre». Se Cosmin ha scelto di affron- tare da solo quello che è stato il viaggio più importante della sua vita, c’è anche chi sceglie di con- dividere l’esperienza con la pro- pria famiglia adottiva. Del resto non esiste un libretto di istru- zioni: ogni esperienza è a sé, proprio come ciascuno di noi ha la propria individualità, i propri bisogni e i propri desideri. IL VIAGGIO DI SARA «Ho fatto il viaggio di ritorno alle origini dopo aver scritto una tesi di laurea sull’adozione (in scienza della formazione prima- ria) e dopo aver incontrato una quarantina di famiglie adottive. Aver analizzato l’adozione attra- verso l’esperienza di altre per- sone è stato fondamentale per farmi sentire finalmente pronta a partire per il Brasile - ci racconta Sara Anceschi, insegnante di trentacinque anni, adottata quando aveva soltanto pochi mesi -. Appena atterrati a Salva- dor de Bahia mia mamma mi disse di annusare l’aria del mio paese, per capire se avessi dei rimandi atavici particolari. Ero molto emozionata, ma quando scesi dall’aereo rimasi delusa perché, pur respirando a pieni polmoni, non sentii nulla di fami- gliare. Avevo atteso ventitré anni per ritornare nel mio paese di origine e ora che finalmente ero arrivata, non provavo assoluta- mente nulla. I profumi e gli odori erano completamente diversi da quelli cui ero abituata e, soprat- tutto, a quelli che avevo immagi- nato. Mi sentivo confusa in quel luogo in cui pensavo che invece mi sarei sentita a casa. Questa sensazione è cresciuta con il passare dei giorni, perché gi- rando per Salvador de Bahia mi sentivo osservata in modo parti- colare. Percepivo sguardi che non avevo mai colto in Italia: la gente del posto mi guardava in- sistentemente... in fondo ero so- maticamente uguale a loro, ma non capivo né parlavo la loro lin- gua. Questi sguardi curiosi e in- sistenti della gente del posto mi infastidivano, tanto più che non avevo mai percepito nulla del genere a Torino: tornavo nel mio paese di nascita e mi sentivo una straniera. Questo viaggio è stata un’esperienza importante perché mi ha permesso di “fare pace” con il mio passato e con la mia madre biologica. Ho trascorso gli ultimi giorni in Brasile con uno stato d’animo particolare: non vedevo l’ora di tornare a casa, dove sarei ritor- nata a essere una ragazza come tante. In aeroporto, pronti per tornare in Italia, è capitato poi l’episodio più bizzarro. I funzio- nari non volevamo lasciarmi par- tire: il mio passaporto era in re- gola, ma sostenevano che fossi una clandestina in procinto di la- sciare illegalmente il paese. Fu- rono attimi di grande concita- zione: mi innervosii e spiegai in inglese la mia situazione. I fun- zionari si rivolsero a me con un atteggiamento marcatamente razzista e di disprezzo. Dopo mezz’ora la situazione si ap- pianò, ma ero contenta di la- sciare quel Brasile che mi aveva profondamente delusa. Nono- stante questo, a distanza di do- dici anni, oggi spero di poterci tornare, per far conoscere il mio paese di nascita ai miei figli e a mio marito». Un altro preziosis- simo pezzo di puzzle da aggiun- gere, anche in età adulta. Paola Strocchio * ITALIA 56 gennaio - febbraio 2020 MC Qui: Sara Anceschi, di origini brasiliane, è cresciuta in Italia. La sua tesi di laurea esamina l’istituto dell’adozione. * " Ero molto emozionata, ma quando scesi dall’aereo rimasi molto delusa, perché non sentii nulla di famigliare.

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