Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2020

MC A gennaio - febbraio 2020 55 MC Colloquio con la dottoressa Cinzia Riassetto Perché il ritorno alle origini «P er un figlio adottivo la possibilità di tornare nel paese di origine rappresenta un’opportunità molto importante nel suo personale processo di crescita. Ri- vedere il posto dove è nato, i luoghi in cui ha vissuto, le prime tappe della vita, incontrare magari persone che lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene, rappresenta un modo molto efficace per riappropriarsi di una parte importante di sé e integrarla con l’identità del presente». È la dottoressa Cinzia Riassetto, psicologa e psicoterapeuta con indirizzo sistemico relazio- nale nel campo delle adozioni internazionali dal 2001, a spiegarci cosa si nasconde dietro al desiderio - sano e legittimo - di un figlio nato in un paese lontano, che sceglie di scoprire le proprie origini. Nel corso degli ultimi anni, la dottoressa Riassetto ha accolto decine di ra- gazzi, spesso giovani adolescenti, che si sono rivolti al Cifa di Torino, ente italiano autoriz- zato per le adozioni internazionali, per essere guidati in quello che è indubbiamente uno dei viaggi più importanti che le famiglie nate grazie all’adozione possono affrontare nel corso della loro vita. «Il viaggio rappresenta un’occasione preziosa anche per i genitori adottivi che tornano nel paese del figlio insieme con lui, naturalmente quando si tratta di giovani ragazzi che altrimenti non potrebbero affrontare il viaggio da soli - continua a spie- garci la dottoressa Riassetto -. In questo modo si va a condividere questa appartenenza co- mune e le radici del loro essere diventati famiglia, pur partendo da storie e condizioni di vita così diverse e lontane». I l percorso di accompagnamento psicologico è previsto sia prima della partenza sia du- rante il soggiorno nel paese. Continua la dottoressa Riassetto: «Prima della partenza, i nostri psicologi e gli operatori aiutano le famiglie a preparare il loro personalissimo ba- gaglio emotivo con cui affrontare il viaggio; una volta arrivati là, i referenti che operano sul posto si occupano di accompagnare le famiglie negli spostamenti e nelle visite anche dei luoghi sensibili». L’intervento di un esperto nell’organizzazione del viaggio permette anche di valutare se è effettivamente arrivato il momento di affrontare questa esperienza o se è forse opportuno rimandare di qualche tempo, in attesa di avere tutti gli strumenti emotivi a disposizione. Proprio perché si tratta di un viaggio importante, è imprescindibile avere con sé il «bagaglio» giusto. «È bene che la preparazione venga affrontata con colloqui sia con la famiglia adottiva sia con il ragazzo - continua la dottoressa Riassetto -. Il bagaglio va riem- pito di aspetti emotivi, cercando di narrare quelle emozioni che lui deve avere nella valigia con cui parte: gioia, ansia, entusiasmo, paura, desiderio. È necessario lavorare sulle aspet- tative con cui si parte: chi si vorrebbe incontrare? Quali posti si vorrebbe rivedere? E poi: se incontrassi quella persona cosa gli chiederesti? Cosa pensi che potrebbe chiedere lei a te? Questo lavoro lo si fa su un piano simbolico, attraverso narrazioni emotive che la psicologa fa per lui, in un lavoro di immedesimazione, portando dentro di lui pensieri e risposte». È importante anche preparare il ragazzo alle zone d’ombra che incontrerà atterrando nel suo paese. Un paese forse idealizzato in famiglia, ma che non potrà essere romanzato nel mo- mento in cui si toccheranno con mano quei panorami sociali fatti di indigenza, povertà e difficoltà. D urante questa fase, l’importanza del «bagaglio» è quindi focale, andando a concen- trarsi su cosa può essere il ritorno, con un’idea di come si può tornare. Con dei sugge- rimenti, delle testimonianze di altri ragazzi che hanno affrontato il medesimo per- corso. Questo viaggio interiore deve essere costruito parallelamente anche dai genitori: «Il compito del genitore adottivo è quello di accompagnare silenziosamente il figlio senza troppa intraprendenza, con uno stile silenziosamente contenitivo, senza esaltare né limi- tare il percorso. E questo è possibile solo e soltanto se non ci si sente sostituti dei genitori biologici ma co-presenti con loro». Paola Strocchio *

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