Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2020

datata 7 giugno 1912, aveva come oggetto la tu- tela dei diritti umani e naturali degli amerindi amazzonici. Ai tempi, queste popolazioni erano oggetto di indicibili soprusi. Era l’epoca dello sfruttamento del caucciù (fine secolo XIX - prima metà del secolo XX), un periodo storico corri- spondente all’inizio dell’industria automobilistica nel mondo occidentale. Il ciclo del caucciù si sa- rebbe concluso con l’arrivo dei derivati del petro- lio, dopo la seconda guerra mondiale. Denunciando quelle situazioni disumane, san Pio X si dimostrò un papa antesignano rispetto alla sensibilità per le condizioni dei popoli indigeni e dell’Amazzonia. Dopo oltre 100 anni da quella denuncia, l’esperienza dimostra che sono cam- biati gli invasori, ma i fatti si ripetono: conquista, occupazione, distruzioni, profitto, oro, morti e sempre le stesse persone che perdono. Questi due elementi - il progressivo degrado della situazione ambientale e la condizione delle popolazioni autoctone amerindie - indicavano alla Chiesa la necessità di fare qualcosa. Così, quando papa Francesco ha parlato per la prima volta della necessità di un sinodo sul- l’Amazzonia, la mia prima reazione è stata un’esclamazione di gioia: «Finalmente. Era ora!». Non solamente perché lo consideravo giusto, utile o una novità assoluta, ma per la sua esi- genza storica. Una Chiesa che ascolta Scorrendo le pagine del Documento finale del Si- nodo speciale, uscito a fine ottobre, mi pare esplicito l’invito a riflettere su diverse problema- tiche: ambientali, ecologiche, antropologiche ed ecclesiali. La Chiesa «in uscita» si mette in «ascolto» del grido di aiuto dell’Amazzonia e delle popolazioni indigene che l’abitano per riflettere su come an- nunziare, vivere, celebrare il messaggio evange- lico ed essere Chiesa radunata dall’Eucaristia. Riascoltando le voci dell’Amazzonia, il sinodo speciale invita tutte le persone di buona volontà, nello spirito di Francesco d’Assisi, a prendersi cura della «casa comune», a praticare la solida- rietà con i più poveri che devono recuperare la loro dignità di persone, di figli di Dio e la loro identità culturale. «Cristo indica l’Amazzonia»: con questa affermazione di san Paolo VI comin- cia il primo capitolo (numeri 5 - 19) del Docu- mento finale. È un grido che viene da lontano: dalla Lacrimabili statu di san Pio X, attraversa tutto l’arco temporale e di pensiero del Concilio Vaticano II e arriva fino ai nostri giorni. Per la Chiesa latinoamericana il percorso verso l’Amazzonia e i suoi abitanti si è snodato attra- verso gli incontri della Conferenza episcopale la- tinoamericana (Celam): Medellìn (1968), Puebla (1979), Santo Domingo (1992), Aparecida (2007), ma anche e forse soprattutto i molteplici incontri promossi dal «Dipartimento di Missioni» (Demis) dello stesso Celam con la guida del papa. Dalla connessione all’alleanza «Connessione» è un’ulteriore prospettiva essen- ziale del Documento finale perché presenta la stretta unione tra il grido della terra e quello dei poveri con la denuncia della distruzione del creato, dello sterminio del mondo naturale, della minaccia alla vita umana di coloro che abitano quei territori, ma anche con l’annuncio e la testi- monianza della buona notizia di Gesù. La connessione si fa alleanza quando si parla di Chiesa e popoli indigeni: Chiesa alleata del mondo amazzonico. Cristo, indicandoci l’Amaz- zonia, ci segnala le grandi sfide globali, la crisi socio-ambientale, il dramma delle migrazioni forzate e la convivenza tra culture e religioni dif- ferenti. L’ascolto dell’Amazzonia è un invito per la Chiesa alla conversione integrale perché ne ri- conosce il suo messaggio di vita: la voce e il canto dell’Amazzonia che diventa nello stesso tempo un grido di tutto il territorio e dei suoi abitanti. Dall’ascolto sorge la proposta di nuovi cammini di conversione pastorale, culturale, ecologica e sinodale. Il percorso di una conversione pastorale (20 - 40) riguarda tutti i battezzati chiamati a costruire una Chiesa samaritana, misericordiosa e solidale. Una Chiesa missionaria impegnata nel dialogo ecumenico, interreligioso e culturale con volto e cuore indigeno o contadino ( caboclo , ribereño , colono, afrodiscendente,...), migrante e giovane. Alla Chiesa della Panamazzonia è chiesto di di- ventare essa stessa missionaria. L’ascolto della Panamazzonia si trasforma - inoltre - in una conversione culturale (41 - 64). Alleandosi con i popoli amazzonici la Chiesa si sente in dovere di rispettare e far rispettare i loro valori, le loro culture e il loro stile di vita come risultato di una forza vitale di adattamento sto- rico. La Chiesa difende i diritti dei popoli amaz- zonici e denuncia tutti gli attacchi contro la vita delle loro comunità, il loro ambiente, con molte- plici forme di sfruttamento. Questa presa di posizione implica un’apertura sincera all’altro visto come fratello da cui si può imparare - ce lo dimostra la millenaria espe- rienza di adattamento dei popoli amerindi - e non come mezzo di cui servirsi a nostro benefi- cio. Per la Chiesa la difesa della «vita» e dei di- ritti dei popoli amerindi è un principio evangelico. L’alleanza tra popoli indigeni e Chiesa si realizza nell’ottica della fraternità, si manifesta in una sempre maggiore inculturazione della fede nella vita dei popoli amazzonici. In un’at- mosfera di fraternità la Chiesa deve svolgere la missione di evangelizzare, il che non ha nulla a che vedere con il proselitismo, rifiutando al tempo stesso ogni forma di «evangelizzazione di stile coloniale». I nuovi cammini di conversione ecologica (65 - Amazzonie MC 37 gennaio ~ febbraio 2020

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