Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2020
SOPRAVVIVERE Torniamo verso il palazzetto vi- cino all’ingresso. Qui, sulle gra- dinate, hanno il loro «angolo» Alida Gomez e suo marito. Alida viene da Tucupita (capo- luogo del Delta Amacuro), è una signora di una certa età, con tre figli grandi rimasti in Venezuela. A casa faceva l’insegnante, ma poi ha deciso di partire: «Il Ve- nezuela sta vivendo una situa- zione molto difficile in tutti gli ambiti: economia, educazione, salute. Ho preso la decisione personale di venire in Brasile per aiutare la mia famiglia - ci confida -. Speravo di poter tro- vare un lavoro rapidamente, ma la realtà è ben diversa. Essere indigena, avere la nostra cul- tura, significa essere respinti in tutti gli ambiti qui. Non abbiamo l’appoggio di nessuno, siamo soli». Oggi Alida aiuta la comu- nità facendo la vice coordina- trice di Ka Ubanoko, ma la vita a Boa Vista è molto dura. «Usciamo prima dell’alba e an- diamo in giro a cercare rifiuti che si possono vendere, come le lattine di alluminio. Pren- diamo anche i vestiti in buone condizioni. Mettiamo insieme più giorni di raccolta e ven- diamo il metallo. In questo modo guadagniamo qualche decina di reais (la moneta brasi- liana, ndr ) che ci serve per com- prare cibo. I vestiti recuperati li laviamo con il cloro. Se ci ser- vono li usiamo, altrimenti li rega- liamo ad altre famiglie». In ef- fetti, in tutto Ka Ubanoko, in mezzo agli effetti personali por- tati dal Venezuela, si notano molti oggetti di recupero, trovati nei cassonetti della città brasi- liana. Alida continua a descriverci la vita quotidiana nel campo: «I ba- gni sono senza alcuna privacy. Sono senza porte, e pure in- sieme alle docce. L’acqua che beviamo è del filtro (ci sono due filtri con tre rubinetti ciascuno, installati da Acnur, per oltre 600 persone…, ndr ). Per cucinare e lavare usiamo l’acqua dell’ac- quedotto. Cuciniamo su fuochi con legna che recuperiamo in giro. Occorre fare sempre atten- sto luogo il modello che ave- vano pensato nel progetto di sviluppo e che avevano iniziato ad applicare dove erano accam- pati. «Già sulla strada avevamo sperimentato questa organizza- zione. Anche perché erano ini- ziate ad arrivare donazioni da alcuni enti, ed è stato necessa- rio formare gruppi per evitare conflitti e soprusi». L’organizzazione si basa su un coordinamento centrale con una coordinatrice eletta, Fio- rella, e una vice coordinatrice, Alida Gomez, anch’essa Warao. Le famiglie sono divise in gruppi, normalmente secondo la comunità di origine, che fanno capo a dei responsabili anch’essi eletti, detti cacique («capo», nel mondo indigeno). I cacique sono cinque, di cui quattro warao e una criolla (come vengono chiamati i non indigeni). C’è poi un’organizza- zione per settore, tramite comi- tati, su tutto quello che è fonda- mentale per la comunità: educa- zione, pulizia, salute, alimenta- zione, sicurezza, sport, prote- zione del bambino e della donna, infrastrutture. Eppure, la convivenza tra i vari gruppi non è così facile come sembra. Tra gli abitanti di Ka Ubanoko talvolta scoppiano dei conflitti. «Da quando siamo qui, ci sono stati cinque scontri fisici. Quando avvengono, si cerca di regolarli tramite i cacique dei gruppi di appartenenza dei sog- getti coinvolti - ci spiega Fiorella -. Alcuni capiscono, altri no. In questo caso siamo costretti ad espellerli». A volte poi ci sono incomprensioni tra indigeni e non indigeni, soprattutto a causa dell’inevitabile distanza culturale. Fiorella ci mostra dove abita. È un’abitazione improvvisata fatta di materiali di recupero, eretta nella zona perimetrale del cen- tro sportivo, normalmente abi- tata dai non indigeni. Ci vive in- sieme a parte della sua famiglia. zione, perché qui ci sono molte mosche che portano malattie. Con la farina di grano facciamo arepas (delle specie di piadine, ndr ). Mangiamo anche riso e salsiccia (wurstel di pessima fat- tura, ndr ). Se abbiamo qualche soldo in più, compriamo del pollo o altra carne. Chi ha amici o parenti a Pintolandia, riceve talvolta del cibo avanzato da loro». Anche la lingua può essere un problema. I venezuelani, indi- geni e non, parlano lo spagnolo (qui detto castellano , ndr ), men- tre in Brasile devono imparare il portoghese. Alida, che è qui da quasi un anno, ammette di ca- pirlo ma di non parlarlo. GLI AMICI DI KA UBANOKO Ka Ubanoko è quindi una grande realtà di migranti auto- gestita e autorganizzata. Nes- suna delle agenzie delle Na- zioni unite o delle grandi Ong, tantomeno il governo federale o dello stato di Roraima, o la mu- nicipalità di Boa Vista, la control- lano e la gestiscono. Diversi enti intervengono con appoggi pun- tuali e specifici. Fiorella è molto brava a tenere le relazioni e si era già fatta conoscere dalle istituzioni quando il gruppo era accampato sui bordi della strada. «Ci ha aiutato qualche istitu- zione civile e religiosa - ricorda lei -. Come la pastorale migranti della diocesi, le suore scalabri- niane, i missionari della Conso- lata, la Caritas. E Ong come Me- dici senza frontiere e Adra». Poco appoggio è invece arri- vato da Acnur (i due purificatori già citati) e Oim (Organizzazione internazionale per le migra- zioni). L’esercito brasiliano (che a Roraima controlla gli abrigos ufficiali come Pintolandia), è in- tervenuto ripristinando l’energia elettrica che il comune aveva tolto e mettendo in sicurezza la piscina (vuota) del centro spor- tivo. «Cerchiamo di coinvolgere al- cuni enti tramite progetti. I mis- sionari della Consolata, ad esempio, sono attivi su un pro- getto di alimentazione, sia ge- In senso orario dal basso: Alida Gomez, Fiorella Ramos e Leany Torres Moraleda, donne warao. * MC A 15 gennaio ~ febbraio 2020 MC
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