Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2020
«OdisseaWarao» / 1 a puntata: reportage dal centro autogestito dei migranti venezuelani KA UBANOKO, LA NOSTRA CASA BRASILE-VENEZUELA MC A B oa Vista. Estrema pe- riferia della città. Su- perata una scuola mi- litare, arriviamo da- vanti a uno spazio chiuso da reti e muri. Varcato un cancello semi divelto, abbiamo subito l’impressione di entrare in un piccolo mondo a parte. Alla nostra destra si erge un ex palazzetto sportivo costituito da due gradinate che circondano lo spazio di gioco in cemento, il tutto coperto da una tettoia di lamiera. Notiamo subito che, sui gradini, sono accumulate, borse, valigie, asciugamani e in- dumenti vari, utensili, suppellet- tili e oggetti casalinghi di ogni tipo. Tutto è posizionato con grande ordine. A terra, a fianco delle gradinate, ci sono dei ma- terassi e anche un vecchio letto. Alcune amache sono appese alle colonne della struttura. Sul terreno da gioco è stata siste- mata qualche tenda da campeg- gio. Il tutto ricorda un grande accampamento. Ai lati della struttura sono stesi dei teloni con l’inconfondibile scritta e logo dell’Unhcr-Acnur, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Nella capitale dello stato di Roraima (Brasile), alcune centinaia di migranti venezuelani di etnia warao, rifiutati dalle agenzie Onu, si sono orga- nizzati dal basso e hanno creato un’esperienza unica di convivenza e resilienza. A fianco dei mi- granti non indigeni e superando varie difficoltà. di MARCO BELLO e PAOLOMOIOLA Yakera! L a parola - «Yakera» - ci è subito piaciuta. Facile da pronunciare. Facile da ricordare. E, soprattutto, portatrice di un significato positivo. Gli indigeni warao la utilizzano in molte circo- stanze: per dire «va bene», ma anche per salutare. I Warao sono l’etnia del delta dell’Orinoco, in Venezuela, che sta lasciando le proprie comunità per rifugiarsi in Brasile. Abbiamo percorso un pezzo del loro viaggio di mi- grazione (Boa Vista, Paca- raima, Santa Elena de Uairén, Manaus) e visitato i centri che li ospitano per cercare di ca- pire dalla loro viva voce il per- ché di una scelta difficile, spesso drammatica. In questa indagine ci hanno aiutato i missionari della Con- solata che da tempo lavorano con i Warao, sia in Venezuela che in Brasile. M.B. - P.M. Y a k e r a ! I W a r a o , d a l l e p a l a f i t t e a l l e c i t t à © Paolo Moiola Proseguiamo quasi in punta di piedi, cercando di non invadere gli spazi con le nostre videoca- mere e fotocamere, come troppo spesso fanno i giornali- sti. Però non possiamo diven- tare invisibili. Qua e là tanti bam- bini si rincorrono e giocano. Pa- recchi di loro si fermano a guar- darci incuriositi. Mentre nei pressi di alcuni alberi ci sono dei focolari accesi con pignatte annerite appoggiate sopra. Di fronte a noi e ai lati varie ca- sette, meglio dire baracche, rea- lizzate con materiali di recupero, cartoni, assi di legno, lamiere, danno al luogo un’aria di villag- gio. Ci sono cartelli scritti a mano: «Si riparano biciclette», «Lavaggio». C’è pure un nego- zietto che vende piccole cose di utilità quotidiana, proprio come si fosse in un quartiere. Siamo a Ka Ubanoko, che - ci viene spiegato - nella lingua dei Warao significa «dormitorio co- mune». Si tratta di un centro sportivo mai terminato e poi ab- bandonato, del quale sono rima- ste in piedi diverse costruzioni tra cui un palazzetto, una pi- scina e altre strutture. Ci accompagna padre Oscar 10 gennaio ~ febbraio 2020 MC
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