Missioni Consolata - Dicembre 2019

MC R Chi erano i martiri di Tibhirine? C’è un filo rosso che li accomuna? Erano religiosi che davano una profonda testimonianza di fede e svol- gevano bene il loro compito nella so- cietà algerina, facendo parte integrante della Chiesa locale che è piccola, di sole tremila persone, e immersa in un paese al 99% musulmano. C’era da parte di tutti loro una dedizione al popolo alge- rino. Molti erano un punto di riferi- mento per il territorio in cui vivevano. Erano rimasti presenti durante gli anni tragici in Algeria per tenere viva una flebile fiammella di speranza e di uma- nità. E per testimoniare fino alla fine la loro amicizia anzitutto con Gesù e quindi con la gente che viveva loro ac- canto. Non erano però i soli in quel frangente a dare una vivida testimonianza di fede cristiana. No, tra i martiri algerini di quegli anni ci sono anche sei religiose, sicuramente meno conosciute dei mo- naci di Tibhirine. C’erano sorelle che si dedicavano all’educazione delle ragazze con un centro di ricamo in una zona povera di Algeri, altre impegnate nel campo delle cure ai bambini disabili e altre ancora venivano incontro ai bisogni delle famiglie. Erano persone molto semplici che hanno vissuto nella quotidianità un rapporto con l’altro, l’altro musul- mano, per tessere un dialogo che non era solo dia- logo teologico, ma dialogo della vita, e così facendo, ci hanno dimostrano che vivere insieme, pur prati- cando fedi diverse, è una meta possibile. Per questo erano amati anche dai musulmani. Come visse la comunità algerina la loro beatificazione? Sicuramente erano costruttori di pace, persone che hanno avuto il coraggio e anche il desiderio di rima- nere accanto al popolo algerino proprio quando questi attraversava una violenta tragedia. La beatifi- cazione che si è tenuta ad Orano in Algeria, l’anno scorso, fu un evento unico nella storia della Chiesa sia per la Chiesa Universale che per quella algerina. Questo evento dice molto della memoria ancora oggi ben viva di voi martiri d’Algeria. Teniamo conto che circa il 65% della popolazione odierna algerina non era nato negli anni Novanta, però la loro storia è conosciuta. Per esempio, ad Orano dove io sono stato vescovo per 15 anni, è an- cora molto forte la traccia che ho lasciato in città, perché cercavo di entrare in dialogo non solo con i cristiani, ma con tutti, con il mondo della cultura, dell’educazione, con i politici e con loro ho intrec- ciato legami di amicizia fortissimi. DICEMBRE2019 MC 61 Ultima foto della comunità di Tibhirine - gennaio 1996 / agenziasir.it E poi va detto che i monaci di Tibhirine erano una significativa presenza di dialogo, anche se vissuto in maniera silenziosa nelle montagne dell’Atlante algerino. Oggi il loro monastero è diventato meta di pellegri- naggio per centinaia di persone e - cosa particolar- mente significativa da segnalare - il 95% dei pelle- grini che va a visitare il convento è musulmano. La testimonianza di voi martiri dei nostri tempi fu e resta una provocazione alla società algerina e alla Chiesa Universale. Oggi si vive in un clima di individualismo sfrenato che porta a mettersi sempre in mostra e a cercare innanzitutto il riconoscimento di se stessi nel rap- porto con l’altro. I martiri, invece, provocano le co- scienze proprio per la gratuità del servizio che pre- stavano dando interamente la loro vita agli altri, come un dono, coscienti dei rischi che correvano. E se interrogano tutti con la loro morte, lo fanno an- cora di più con il perdono che hanno donato. Come si può perdonare qualcuno che ti vuole morto? Il testamento di Christian de Chergé, superiore della comunità dei monaci di Tibhirine, è una pagina oggi molto sentita, uno dei testi più belli, densi e impor- tanti della spiritualità del XX secolo. E in questo te- sto egli dà il perdono a chi lo avrebbe ucciso. Questi martiri hanno scelto di condividere fino alla morte la sorte del popolo algerino. Nella vostra scelta di rimanere c’era anche la volontà di vivere il perdono nei confronti di chi vi avrebbe uccisi. Siamo spesso chiamati testimoni della speranza, perché in mezzo a una guerra fratricida e a un mare

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