Missioni Consolata - Dicembre 2019

FAMIGLIE MISSIONARIE DICEMBRE2019 MC 43 D anche tu che sei ospite partecipi. Il bene comune lo costruiamo insieme. Questo è difficile, soprattutto per quelle persone che sono tanti anni che vengono aiutate. Fare quel salto di qualità: pensare “però anche io posso darmi da fare per gli altri”, è provo- catorio, ma vivendo insieme viene naturale». Il cortile si riempie Mentre mangiamo e chiacchieriamo, arriva da scuola Edoardo, il figlio maggiore di Nicola ed Emanuela. Saluta, posa lo zaino e si siede a tavola anche lui. Partecipa volentieri a questo pranzo con uno sconosciuto: è abituato a condividere gli spazi e i tempi di casa con altri. Chiediamo però ai suoi genitori come fanno a conciliare le esigenze di cop- pia e di famiglia con quelle di un condominio così. Nicola, ormai alla fine della sua pausa pranzo, ri- sponde: «La famiglia e il servizio non sono due cose distinte. Non è come il lavoro: esco, vado in un luogo dove gli altri non possono venire, faccio le mie cose e torno. È una parte integrante della no- stra vita. È una forma della vita, anche se bisogna riuscire a tenere degli spazi riservati, soprattutto per i figli». «Il nostro è un vicinato aperto - Ag- giunge Emanuela -. Poi è bello che io e Nicola fac- ciamo le cose assieme. Invece per i nostri figli è bello avere molte relazioni. Per cui capita che ci sia l’invasione di chi non vuoi nei momenti che non vuoi, ma poi hai tanto di più attorno. Loro sono contenti. Lo erano anche di vivere in parrocchia. Apprezzano molto i giovani che abitano qua, i gio- chi al giovedì, il fatto che vengano gli amici dei bambini accolti, che il cortile si riempia». La terza porta della chiesa La famiglia Costa vive nella casa Santa Barbara da tre anni. Come i loro amici della diocesi di Milano, anche loro si sono dati un tempo di cinque anni, scaduti i quali verificheranno, insieme alla parroc- chia, se la loro presenza nella casa ha portato buoni frutti e se proseguire con l’esperienza op- pure andare altrove. «Tre anni sono pochi. Cinque anni permettono di entrare nel vivo. È un tempo sensato. Dopo di ché ci sentiamo sostituibili». La casa Santa Barbara non è una realtà visibile. È un condominio in mezzo ad altri condomini. Non ha insegne o frecce luminose che ne indichino la presenza. Si fa vedere solo da chi la conosce, e da chi frequenta le persone che la vivono. Non è inva- dente. Ma è un pezzettino di Chiesa che abita il quartiere, che sta in mezzo alle case. «Le Famiglie missionarie a km0 sono la terza porta della Chiesa - ci dice Emanuela mentre ci salu- tiamo -: c’è la porta istituzionale, poi c’è la porta piccola che è quella degli istituti religiosi o della sa- crestia dove entrano solo gli addetti ai lavori, e poi c’è la terza porta che è fatta da quelli che deside- rano vivere la fede e una vita piena pur facendo la vita di tutti. L’impegno è quello di essere una porta d’ingresso verso il popolo di Dio. Questo è il nostro impegno: riuscire a fare da tramite». Luca Lorusso per Paolo, quello per Giulia, e quello per noi. Tutti gli altri sono dedicati all’accoglienza». La descrizione della destinazione degli alloggi non vuole essere un semplice elenco, vuole piuttosto mettere in luce uno degli elementi fondamentali di questa esperienza di condominio solidale: la frater- nità. La casa non è solo un «rifugio» per persone in difficoltà, ma è un luogo nel quale sperimentare una forma nuova di vicinato, una modalità aperta di re- lazioni paritarie tra persone diverse. «La cosa è nata dalla nostra esperienza precedente in parrocchia a Milano - ci spiega Emanuela -. È si- gnificativo che ci sia una fraternità tra famiglia e sacerdote al centro della parrocchia. Ci sembrava significativo che ci fosse una forma di fraternità anche al centro dell’esperienza di accoglienza. Cer- cavamo un’altra famiglia e non l’abbiamo trovata. Allora abbiamo pensato ai giovani». «Prima che arrivassero questi nuovi giovani - ag- giunge Nicola -, è stata qui Elisabetta, che oggi ha 27 anni e si è appena sposata. Lei diceva che voleva vedere le cose con i suoi occhi: “Ho un lavoro, ho il fidanzato, ma non voglio andare a convivere. Esco di casa, faccio due anni con la porta aperta. Mi metto al servizio di chi ha bisogno”». «Alla fine - ag- giunge Emanuela - ha detto che essere qua non è solo fare servizio, ma rendersi conto di cosa suc- cede nel mondo, perché ognuna delle donne ospi- tate ti racconta come vanno le cose a casa sua e anche la fatica di stare in Italia. Paolo e Giulia sta- ranno qua per un anno, Miriam farà un ingresso più graduale. L’idea è che passino per questa espe- rienza prima delle scelte definitive della vita: è anche un’esperienza di discernimento. Si mettono al servizio, e in più provano a immaginare la loro vita futura. Per vivere la fraternità in modo più completo con loro, facciamo almeno una cena alla settimana insieme. Poi in pratica diventano anche due o tre, perché spesso passano per un saluto e alla fine si fermano a mangiare. Oltre alla cena, stiamo costruendo il modo di pregare insieme». La quotidianità fraterna, però, per i Costa non si realizza solo con i giovani. In senso più ampio è il vi- vere con la porta aperta e il cuore disponibile nei confronti degli ospiti: «Vivendo insieme è più facile che s’inneschino delle dinamiche di reciprocità - continua Emanuela -. Io sono qua per aiutarti, però, se questo spazio è unico e lo abitiamo insieme, © Emanuela Iacono

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