Missioni Consolata - Dicembre 2019
fitti per 5,2 miliardi di dollari, una riduzione di costi di gestione per 18,6 miliardi e salvato le vite a 450mila persone. L’Esa ( European space agency, Agenzia spaziale europea) in- vece, tra il 1995 e il 2016 avrebbe prodotto ricchezza per 14,6 mi- liardi di euro (contro un finanzia- mento di 8 miliardi). Oggi si calcola che ogni euro speso nella ricerca spaziale dall’Esa genererebbe 2,3 euro di profitto nell’economia eu- ropea. Terzi incomodi spaziali: l’Italia e altre sorprese Al tempo stesso, però, nel corso dei prossimi decenni, la corsa allo spazio rischia di diventare una nuova guerra commerciale riser- vata a quelle nazioni che oggi inve- stono più risorse nel campo della ricerca. Almeno fino alla fine degli anni Ot- tanta del secolo scorso, la corsa allo spazio è stata appannaggio di due sole nazioni: Stati Uniti e Unione Sovietica. Il crollo del Muro di Berlino, oltre a sovvertire il mondo economico, sociale e po- litico, ha cambiato anche le regole d’ingaggio della ricerca spaziale. La rivoluzione geografica ha ridise- gnato i confini e alcune nazioni, come la Russia, hanno dovuto sti- pulare trattati con nuove entità politiche per continuare a lanciare i propri vettori nello spazio. Altri, MONDO come l’Agenzia spaziale europea, utilizzano da decenni dipartimenti d’oltremare, in questo caso la Guyana francese, in cui sin dagli anni Ottanta la Francia aveva co- struito il proprio centro spaziale. L’Italia è sempre stata all’avanguar- dia nell’esplorazione spaziale: il no- stro paese è stato il terzo al mondo, dopo Usa e Urss, a lanciare un satellite in orbita ed ancora oggi l’Università La Sapienza di Roma è proprietaria di una base di lancio (ancora potenzialmente operativa, ma inutilizzata dal 1988) e di un centro spaziale («Luigi Broglio») off shore al largo delle coste kenyote (Malindi). Oggi sono più di settanta le nazioni i cui governi hanno istituito agenzie spaziali e tra queste troviamo paesi che mai ci aspetteremmo di elen- care nella lista dei programmi dedi- cati allo spazio: Indonesia (dal 1964), Bangladesh (1980), Mongo- lia (1987), Nigeria (1988), Vietnam (2006), Venezuela (2008), Bolivia (2012) e altri ancora. Gli ultimi arri- vati, in ordine di tempo, sono Ara- bia Saudita e Filippine, che nel 2019 hanno inaugurato istituti di ri- cerca spaziale nazionali. Alcuni stati comunemente annoverati tra quelli economicamente meno svi- luppati hanno anche propri satelliti in orbita (Nord Corea, Filippine, Bo- livia, Venezuela, Colombia, Viet- nam, Nigeria, Marocco, Indonesia), mentre altri hanno già inviato astronauti su stazioni spaziali in- ternazionali (Vietnam, Indonesia, India, Brasile, Messico). La rivoluzione spaziale è iniziata sin dagli anni Ottanta quando isti- tuti universitari, sulla spinta del Programma sulle applicazioni spa- ziali lanciato dalle Nazioni Unite nel 1982, iniziarono dei corsi dedi- cati a studenti provenienti da paesi in via di sviluppo. Nigeria, Marocco, Turchia, Algeria, India furono i primi a rispondere, ma in breve numerose altre nazioni capi- rono quanto fosse importante partecipare con le proprie forze alla ricerca spaziale. Insomma, lo spazio, pur essendo ancora un ambiente dominato dai pochi grandi giganti economici mondiali (Usa, Russia, Europa), è sempre meno monopolizzato da questi. La Cina sulla luna È pur vero però che un conto è or- ganizzare e allestire un’agenzia che collabora alla ricerca spaziale, un altro è partecipare attivamente ai programmi di colonizzazione e di sfruttamento dello spazio. Nel dicembre 2013 ha fatto scal- pore l’invio del lander cinese Chang’e 3 sulla superficie lunare, in quanto era la prima volta che un oggetto terrestre che non fosse statunitense o russo atterrava sul nostro satellite rimanendo opera- tivo (il 14 novembre 2008 l’India © NASA-ESA
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