Missioni Consolata - Novembre 2019

Al di là dei vantaggi economici Segue un episodio che ci può sembrare banal- mente buffo e secondario, anche se in realtà è pro- babile che Luca lo inserisca con piena intenzione. Semplicemente, noi non siamo lettori antichi e al- cuni sottintesi non risuonano in noi come risuona- vano duemila anni fa. Per noi, attentissimi al denaro al punto da calco- lare con quello anche la forza d’attrazione di pro- fessioni e passatempi (una professione vale tanto quanto è pagata), i soldi devono tenersi lontani dalle scelte ideali. Ci viene persino difficile ammet- tere che chi si dedica a una missione venga anche nutrito dai frutti di quella missione. Per la reli- gione, questo vale in modo ancora più pressante. L’antichità si comportava in modo diverso: la ric- chezza di un tempio era segno dell’affidabilità della sua divinità, che attirava sacrifici e donazioni anche da molto lontano. Quella ricchezza che arri- vava a un tempio veniva utilizzata per retribuire i sacerdoti, per riparare le strutture sacre e per fare la carità ai mendicanti i quali, vivendo alle spalle del tempio, dimostravano che la divinità era buona, generosa e capace di aiutare. Ricevere de- naro era segno che chi lo offriva riconosceva il va- lore e l’affidabilità di quella divinità. Noi oggi tendiamo a vergognarci di santuari o or- dini religiosi troppo ricchi, mentre nel primo secolo d.C. era un motivo di vanto, quasi una conferma che la divinità onorata e servita da quel tempio era davvero importante e influente. Su questo sfondo acquisisce un significato note- vole l’episodio di Simone di Samaria (Atti 8,9- 13.18-24). Questi era un uomo che faceva prodigi, un po’ come Gesù, e di certo era ritenuto persona importante e affidabile in campo spirituale. Lui, a sorpresa, non si contrappone all’opera di Filippo (come faranno tante autorità religiose da allora in poi e come era già accaduto a Gesù, a Pietro e a Stefano), ma si fa battezzare e cerca poi di entrare nel gruppo dirigenziale del nuovo movimento, of- frendo denaro per poter gestire lo stesso potere di guarigione e di effusione dello Spirito che ha visto passare dalle mani dei discepoli. La risposta di Pietro è durissima: accettare quel pa- gamento andrebbe a danno del dono di Dio, che è gratuito, e interpretare l’opera divina come com- pravendita implica di essere malvagi e non aver ca- pito Dio. Con poche parole Pietro rimarca che al cuore della comunità voluta dal Dio di Gesù c’è la comunione tra Dio e gli uomini e degli uomini tra di loro, e nul- l’altro. La chiesa di Gesù può essere poverissima, perché a interessare a Dio è la relazione personale con gli uomini, che non dipende dalle strutture. Il Dio di Gesù non cerca riconoscimenti o potere, vuole solo donarsi gratuitamente agli uomini. Al di là dei tabù fisici Quindi ritorna in scena Filippo , che era rimasto un po’ in secondo piano dopo la prima evangelizza- zione della Samaria. Questa volta, però, a condurre le danze è Dio. Un angelo spinge il diacono sulla strada che da Gerusalemme scende al mare di Gaza (ossia, geograficamente dalla parte opposta rispetto alla Samaria): qui trova un eunuco della regina Candace che legge, senza capirlo, un passo di Isaia (At 8,26-40). Qui, se vogliamo, Luca gioca forse un po’ sporco. Alla corte dei re etiopi, le cui regine avevano il ti- tolo di Candace (non il nome proprio, ma un titolo, come si usa faraone per indicare il re dell’Egitto), i funzionari regi erano definiti eunuchi , anche se or- mai da secoli per servire a corte non dovevano fisi- camente esserlo. Questo eunuco , se sta tornando da Gerusalemme e legge il rotolo del libro di Isaia, è probabilmente di religione ebraica: forse è an- dato alla città santa in pellegrinaggio. Gli eunuchi veri e propri, ossia, in genere, coloro che evidente- mente non avrebbero potuto generare dei figli, non potevano far parte del popolo ebraico (cfr. Dt 23,2). Ecco perché abbiamo scritto che forse Luca qui gioca un po’ sporco: è probabile che non ab- biamo a che fare con un vero eunuco ma solo un funzionario della regina etiope. In ogni caso Filippo è spinto dallo Spirito a parlargli, a spiegargli l’An- tico Testamento, a fargli scoprire che esso si com- pie in Gesù, e a battezzarlo, vedendo scendere su di lui lo Spirito Santo. Di conseguenza siamo por- tati a pensare che nel Vangelo non si dà più l’im- possibilità, per persone come lui - eunuco -, di en- trare nella comunità dei credenti in Cristo. Tra l’al- tro, quasi a mettere una ciliegina sulla torta, il brano di Isaia che l’eunuco sta leggendo parla della debolezza, fragilità e svuotamento di sé del servo di Dio (At 8,32-33, che riprende Is 53,7). Filippo , protagonista di un solo capitolo degli Atti, è colui che porta il Vangelo della povertà e della fragilità a coloro che erano esclusi dal popolo ebraico, che ciò accada per ragioni fisiche o reli- giose, e che aiuta a cogliere che il Dio di Gesù non cerca denaro o potere. E poi, come per magia, viene di nuovo portato dallo Spirito lontano da lì, sulla strada che da Azoto andava lungo il mare fino a Cesarea, ancora in ter- ritorio non ebraico. Il Vangelo, insomma, non ha confini, è per tutti gli uomini aperti a farsi domande e ad accogliere la presenza di Dio, senza precondizioni fisiche, eco- nomiche o religiose. E a volere questa apertura sono stati alcuni uomini più coraggiosi, ispirati o aperti, ma, insieme, è stato lo Spirito Santo, che non sopporta vincoli. Il battesimo, ufficialmente, non è ancora aperto a tutti, ma già sono tanti gli ex pagani che fanno parte della comunità dei fratelli. La legge interverrà più tardi, con fatica, a ratificare ciò che lo Spirito ha già compiuto di slancio. Angelo Fracchia (continua) MC R NOVEMBRE2019 MC 31

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