Missioni Consolata - Novembre 2019
STATI UNITI 22 MC NOVEMBRE 2019 Twitter , il presidente ha rivoluzio- nato il modo di comunicare con il mondo intero. E sono oramai in tanti a imitarlo, a partire dall’italico (una volta si diceva padano) ed ex ministro Matteo Salvini. La differenza con la precedente si- gnorilità ed eleganza di un Barack Obama è lampante, ma è proprio l’espressione un po’ campagnola, sbruffona e meno snob a far prefe- rire Trump rispetto ad altri politici più navigati. «Trump è più sincero di chiunque lo abbia preceduto. Dice sempre quello che pensa infischiandosene del bon ton e della diplomazia. È uno di noi!», afferma Chloe che, assieme a suo marito Leon, pos- siede una fattoria vicino a Bryce, nello Utah, dove affitta stanze a gente di passaggio come me. Poco importa se la guerra commerciale con la Cina, verso i cui mercati sono diretti molti dei prodotti agri- coli statunitensi, ha causato una contrazione delle vendite. La rispo- sta che ottengo è sempre più o meno la stessa: «Trump sta ren- dendo di nuovo l’America grande; i cinesi ci hanno comandato troppo a lungo, è ora che ci riprendiamo il nostro paese». « Make America great again » (facciamo l’America di nuovo grande): il motto presi- denziale ha fatto breccia. Chloe e Leon se la passano discre- tamente bene, ma non sono ricchi, così come la maggior parte dei ses- santuno milioni di statunitensi che ha votato Trump nelle elezioni pre- sidenziali del 2016: «L’elettore me- dio che ha preferito Trump alla Clinton abita nelle campagne, dove la vita è più faticosa e si lavora du- ramente; abita nelle periferie delle città, dove povertà, violenza, di- soccupazione sono sempre state i drammi esistenziali con cui convi- vere. È quello che non ha finito le scuole perché la sua famiglia non poteva permettersi di pagare libri e retta», mi spiega Ysabel Perez, sociologa che tiene un corso di Cri- minologia presso la Northern Ari- zona University di Flagstaff. Ysabel è di origine ispanica, ma cittadina statunitense. Spiega che, a diffe- renza di quanto l’americano medio sia portato a pensare, sono i ceti meno abbienti, i lavoratori, gli sfruttati, «quelli che voi europei un tempo chiamavate proletari», a costituire ancora oggi, a tre anni di distanza dalle elezioni, lo zoccolo duro dell’elettorato dell’attuale presidente. «Sono gli emarginati, ma - questo è importante - emargi- nati bianchi», conclude. Il voto dell’America puritana Nell’America puritana, colore della pelle e religione si mischiano in ogni aspetto della vita quotidiana, molto più che in Europa. Il Pew Re- search Center ha appurato che il 69% degli evangelici di etnia cauca- sica approva l’operato del presi- dente, assieme al 12% dei prote- stanti neri. Tra i cattolici il 36% ap- poggia la politica di Trump, ma la percentuale sale al 44% tra i catto- lici caucasici (bianchi), e scende al 26% tra quelli non bianchi (ma ri- spetto al 2017 quest’ultima per- centuale è raddoppiata). Secondo un recente sondaggio della Gallup, al luglio 2019, il 44% degli americani approvava il lavoro fatto sino a oggi dal loro presi- dente (un altro istituto, lo Zogby Analytics , indica che la percentuale supererebbe il 50%). Il 44% sembra una quota bassa, ma è l’identica percentuale di consenso che aveva Obama nello stesso periodo del suo primo mandato. Insomma, Trump continua a divi- dere gli Stati Uniti e una grossa fetta degli abitanti lo considera un buon presidente. Qui : una torre Trump a Chicago, edificata da società di proprietà del presidente Usa. In basso : attivisti di «Azione francescana» (Fan) manifestano contro la detenzione dei bambini degli immigrati illegali. # (continua a pagina 26) © Roman Boed
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