Missioni Consolata - Ottobre 2019

OTTOBRE 2019 MC 67 tutte le altre, si sono attrezzate e dotate di personale formato e contribuiscono a quella parte della missione che, per brevità, si può definire sociale. I fondi dei donatori pubblici non costruiscono chiese né comprano Bibbie per i catechisti (ci sono do- natori cattolici per questo); ma certamente possono essere un sostegno fondamentale per sca- vare un pozzo e dare acqua pulita a un dispensario, formare infer- mieri, dare assistenza a migranti in fuga da un paese sull’orlo del disastro che arrivano stremati e disperati nel paese confinante. Da questo punto di vista, il rap- porto fra missione e cooperazione allo sviluppo continua a godere di ottima salute una volta che ci si accorda su uno spazio comune in cui una può essere funzionale alla realizzazione degli obiettivi dell’al- tra senza snaturarla. Si può dire, per semplificare, che la missione continua a «ospitare» la coopera- zione allo sviluppo nella parte so- ciale della cooperazione missiona- ria e che la cooperazione allo svi- luppo ricambia «ospitando» i mis- sionari in tutti i suoi settori, a patto che oltre al collarino eccle- siastico indossino lo stetoscopio del medico, il casco antinfortuni- stico dell’ingegnere, il grembiule del maestro di scuola. Senza avere una struttura profes- sionalizzata che lo affianchi per gli aspetti tecnici, per il singolo mis- sionario diventa impossibile rea- lizzare interventi complessi come quelli previsti da un progetto di cooperazione allo sviluppo istitu- zionale. Il progetto, senza un aiuto adeguato, rischia di essere percepito dal missionario come un male necessario, uno stru- mento di cui non si può fare a meno ma che porta via tempo al resto. E per un missionario, il re- sto, spesso, è il grosso: «Ecco, Chiara», mi ha detto una volta il padre responsabile di una im- presa sociale del settore alimen- tare gestita dalla Consolata in un paese africano, «con il progetto che ci aiuterai a scrivere potremo finalmente aumentare la produ- zione; per il resto, con i proventi delle vendite già manteniamo la biblioteca, facciamo i corsi di alfa- betizzazione per i nostri lavora- tori, contribuiamo all’allevamento di polli delle loro mogli. Poi, a tempo perso, diciamo messa, fac- ciamo le confessioni, prepariamo i catecumeni... Ogni tanto riu- sciamo anche a stare in silenzio, pregare un po’ e dormire». In questi anni di lavoro nell’ufficio progetti mi sono trovata spesso a scherzare con i missionari con cui lavoro sul fatto che è una lotta im- pari cercare di far appassionare a un quadro logico e a un crono- gramma qualcuno (il missonario) che ha per logica il Verbo e per orizzonte temporale la vita eterna. Al di là delle battute, però, proba- bilmente il punto è proprio questo: il rapporto fra missione e coopera- zione allo sviluppo è stato ed è proficuo proprio perché sono due attività non completamente so- vrapponibili: negli anni, oltre a non capirsi mai del tutto e, a volte, a criticarsi, si sono anche ascoltate e ciascuna ha fatto a se stessa delle domande che non si sarebbe mai fatta se l’altra non l’avesse stimo- lata. E non smette di sorpren- dermi quanto le domande che i missionari della Consolata si fanno da oltre un secolo, ispiran- dosi al loro fondatore, Giuseppe Allamano, - «stiamo capendo i se- gni dei tempi? Stiamo davvero fa- cendo uomini e non beneficiari, assistiti, bisognosi?» - somiglino alle domande che si fa il mondo dello sviluppo. Chiara Giovetti Da sinistra : da MC maggio 1965; da MC marzo 1970 e da MC luglio 1969. #

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=