Missioni Consolata - Ottobre 2019
38 MC OTTOBRE2019 D STEFANIA RASPO: BOLIVIA - PER SEMPRE CON LA MIA GENTE Accanto ai «rifugiati climatici» per andare altrove. Il restare è la cosa più bella ed arricchente. E non è scontato. Alle volte, in quanto missionari e missionarie, non disdegniamo un certo nomadismo che non ci lascia affondare le radici in un luogo, qualunque esso sia. Sono ormai 7 anni che vivo in Vilacaya (Bolivia), un piccolo villaggio contadino che ha mantenuto molte tradizioni millenarie del popolo andino. La gente parla quechua ed io, purtroppo, non lo domino an- cora, anche se lo capisco abbastanza. Ci hanno ac- colte a braccia aperte, quando abbiamo aperto la comunità nel 2013, e continuano ad accoglierci e a volerci bene. Il popolo nativo quechua di Vilacaya mi ha per- messo di recuperare valori che un po’ avevo messo da parte: l’accoglienza e il saper condividere (se ar- riva un ospite inatteso, c’è sempre un piatto di cibo per lui), il saper chiedere permesso, perdono e il dire grazie alla Madre Terra, con cui si vive una re- lazione vitale. Una spiritualità semplice però pro- fondissima. Il sapermi «sprogrammare» e accogliere il giorno così come viene, senza chiu- dermi in orari e tabelle di marcia. La gente di Vilacaya (e in generale della regione di Potosì) è una vittima del cambio climatico: la deser- tificazione avanza, l’imprevedibilità del clima rende quasi impossibile l’agricoltura. La conseguenza è la migrazione e lo spopolamento. Ormai ci sono poche famiglie giovani, la maggior parte sono anziani o ragazzi fino ai 18 anni. Questi, finite le superiori, si mettono in marcia anche loro per cercare un’altra possibilità di vita nelle città, o all’estero. Ci ritro- viamo accanto ai poveri, ai «rifugiati climatici» come dice la Laudato Si’ . Quelli che pagano più degli altri le follie di un clima impazzito, alla mercé delle grandinate devastatrici, delle gelate fuori sta- gione, che ormai da 4 anni non danno un raccolto soddisfacente. I peccati contro la natura hanno ri- percussioni forti sui poveri. Ma se c’è una cosa che ho sperimentato in Vila- caya, è dove sta Dio: al fianco del povero. L’ho visto, l’ho sentito: lui è lì, perché i poveri sono i suoi pre- feriti. Allora lo stare qui è anche una profonda esperienza di Dio. Rimane l’impegno di saperlo annunciare, con la vita e con le parole. Un Dio Amore, che non è re- sponsabile delle pazzie del clima, come forse la vi- sione indigena tende a credere. Un Dio che piange per i colpi inferti alla Pachamama (la Madre Terra) e si china a consolare i suoi figli. Anche attraverso di me. Suor Stefania Raspo, mc Suor Stefania Raspo , piemontese, classe 1977. È entrata tra le missionarie della Consolata nel 2001. Ha fatto la sua prima professione nel 2008. Dopo gli studi teo logici a Roma, è stata destinata alla mis sione della Bolivia, dove vive dal 2013 con il popolo quechua. B asilio è un personaggio un po’ speciale in Vilacaya. Quando ci trova per strada esprime sempre tutta la stima che nutre per le hermanitas (sorelline). Ma è interes- sante come questo uomo semplice ha interpretato la mia professione perpetua, che si è tenuta nel paesino andino il giorno della Consolata del 2016. «Tu, hermanita Stefania», mi dice spesso, «hai vo- luto essere hermanita per sempre in Vilacaya». Se da una parte mi fa sorridere che Basilio abbia unito l’aggettivo «perpetua» con la mia presenza in Vila- caya, dall’altra è il più bell’augurio che mi si possa fare: poter vivere tutta la mia vita missionaria con la mia gente contadina di lingua quechua. Sì, perché nella vocazione missionaria si mette l’ac- cento sull’andare, ma il restare è una parte fonda- mentale. È vero che ho viaggiato molto e ho vissuto in vari paesi (dapprima il Brasile per il noviziato, quindi l’Argentina e poi la Bolivia). È vero che c’è tutto lo sforzo del mettere radici in una realtà, en- trare in una nuova cultura e società, così come c’è l’altra faccia della moneta: il dolore dello sradicarsi
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