Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2019
MC R tono superiori, tra l’altro senza conoscere la lingua del posto. Se a Gerusalemme infatti si parla ancora ebraico o forse aramaico, la maggior parte degli ebrei nuovi immigrati parla soprattutto le lingue delle zone da cui proviene, oltre forse al latino e si- curamente al greco, se questa non è già la lingua madre. «Ellenista» (che è la vecchia traduzione della Bibbia della Cei) significa in effetti «di lingua greca» (come ci dice la nuova versione). I nuovi immigrati ricchi sono già attempati e si por- tano dietro mogli più giovani e i figli minori. È nor- male quindi che muoiano per primi, lasciando delle vedove che dipendono dalla benevolenza del tempio e dei figli cresciuti tra terme, palestre e vita mondana, che si ritrovano in una piccola cittadina dominata dal tempio e dalla carità dei sacerdoti... I nuovi immigrati sono ricchi, certo, ma di una ric- chezza che non si rinnova e che è destinata a fi- nire, incastrati in una regione che non permette loro di riprendere ad arricchirsi. I «diaconi» (At 6,2-6) Sono questi «ellenisti» a lamentarsi. Il verbo usato, mormoravano , ricorda le lamentele degli ebrei nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto. Sembra di sen- tire la reazione degli ebrei di Giudea, che li vedono come degli esiliati, scappati dal mondo esterno cattivo e persecutore, che osano anche lamentarsi della terra promessa nella quale sono stati accolti. Che le vedove elleniste siano trascurate , peraltro, è scontato. Non sono probabilmente ben viste, non avendo un uomo che le protegga (mancanza già pe- sante nel mondo greco, ma peggiore in Giudea) e non parlando la lingua del posto, per cui probabil- mente non hanno neppure quei contatti che pos- sono offrire loro delle garanzie di assistenza o di tu- tela. Può stupirci, tuttavia, che il problema esista anche tra i cristiani. Potevamo pensare che la nuova fede trasformasse tutto (come sogna Paolo di Tarso: Col 3,11), ma evidentemente il legame linguistico e cul- turale è più importante di quello religioso. Prima di essere cristiane, queste vedove sono elleniste. E re- stano marginalizzate. La loro lamentela raggiunge però le orecchie dei Dodici, che ovviano al problema. Come? Facendo attenzione anche a loro? No. Limitandosi a nomi- nare alcuni responsabili che si occupino del pro- blema. La bella notizia, ci verrebbe da dire, è che tra i cristiani le lamentele vengono ascoltate e vi si pone rimedio; la cattiva è che non si pensa di inte- grare meglio queste vedove ellenistiche, ma di no- minare alcuni che si occupino di loro, lasciandole nella loro emarginazione, anche se, almeno, un po’ meno povere. Non stupisce che i nomi dei sette incaricati di ser- vire ( diakoneo è il verbo usato; li chiamiamo «dia- coni» ma in realtà negli Atti non sono mai chiamati così) abbiano tutti nomi greci. È vero che il mondo greco era affascinante e anche tra i dodici discepoli galilei di Gesù alcuni avevano nomi greci (Andrea, Filippo), ma qui lo sono tutti e sette. Stefano (At 6,8-15) Dunque vengono nominate sette persone perché provvedano a dare cibo a povere vedove straniere? Più o meno. Due sono quelli di cui si racconti qual- cosa di più del nome, uno è Filippo, a cui è dedicato poi il capito 8 degli Atti. L’altro è Stefano, del quale non si dice che distribuisca pane, ma che opera pro- digi e segni (At 6,8), esattamente come Gesù (Lc 10,13). Predica ricolmo di Spirito e sapienza, come Gesù (Lc 2,52; 21,15 lo promette per i discepoli). Viene accusato da falsi testimoni di aver bestem- miato contro Mosè e la legge, come Gesù. Viene portato davanti al sinedrio, come Gesù. E si pre- senta sereno e luminoso come Gesù (At 6,15). Stefano non solo al prezioso servizio della carità, quindi, ma globalmente al servizio del Vangelo. E si comporta in tutto come il suo modello, Gesù di Na- zaret. Il grande discorso (At 7) Di fatto Stefano è ricordato dagli Atti degli Apostoli soprattutto per due motivi: il suo martirio (è il primo cristiano a morire per la propria fede) e il suo lunghissimo discorso, tra i più lunghi del libro, nel quale parla quasi solo dell’Antico Testamento. Ri- corda che Dio era con Abramo in Mesopotamia (7,2), con Giuseppe in Egitto (7,9), con Mosè sul Si- nai (7,30-33), sempre lontano dalla Terra promessa, AGOSTO-SETTEMBRE2019 MC 33 © AfMC / Benedetto Belelsi . Tomba di Giuseppe D’Arimatea a Gerusalemme
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