Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2019

22 MC AGOSTO-SETTEMBRE2019 Libertà Religiosa suo figlio. I genitori si sono fidati della donna, ma era una trappola. La piccola Neha è stata costretta a convertirsi e a sposare un uomo di 45 anni, già sposato, il cognato della zia, che le ha usato violenza. Neha è riuscita a scappare sol- tanto giorni dopo grazie a una delle figlie del marito. «Quella delle conversioni forzate è purtroppo una piaga che colpi- sce numerose famiglie - ci rac- conta la Yousaf che ha da poco costituito, assieme ad altri attivi- sti, un comitato interreligioso atto a denunciare e a gestire tali casi -. Ogni anno in Pakistan al- meno mille ragazze cristiane e indù vengono sequestrate, vio- lentate e costrette a contrarre matrimonio islamico con il pro- prio stupratore. Il più delle volte la famiglia sa bene chi ha rapito la propria figlia, ma le ragazze ven- gono costrette con la forza a di- chiarare che si sono convertite volontariamente. E quando ciò accade la polizia chiude il caso. Molto spesso i familiari non spor- gono neanche denuncia, perché gli aggressori musulmani li minac- ciano di accusarli di blasfemia. Di- Chaudhry, direttore esecutivo della Commissione nazionale di Giustizia e Pace del Pakistan - or- ganismo della Conferenza episco- pale locale -, dal 1990 al 2017, ben 23 cristiani sono stati uccisi perché accusati di blasfemia, an- cora prima di essere processati. Tra loro Shama e Shahzad Masih, arsi vivi in una fornace di mattoni, assieme al bimbo che lei portava in grembo, il 4 novembre 2014. Shama era stata accusata ingiu- stamente di aver bruciato alcune pagine del Corano. Così una folla di 400 persone li ha gettati tra le fiamme. La tragica morte della coppia - che ha lasciato tre figli - ha messo in luce un’altra grave problema- tica: la schiavitù delle fabbriche di mattoni che colpisce anche nu- merosi cristiani. Normalmente il processo di schia- vizzazione ha inizio con un pre- stito elargito dal proprietario della fabbrica. Per ripagare il de- bito, spesso l’equivalente di due o trecento euro, necessari a dar da mangiare ai propri figli, intere famiglie lavorano per genera- zioni. Il debito non si estingue mai, in parte per la paga irrisoria percepita e, in parte, perché i proprietari delle fabbriche spesso ingannano i cristiani, nella quasi totalità dei casi analfabeti, di- cendo loro che non hanno ancora restituito il dovuto quando invece è stato ampiamente saldato. E poi sopraggiungono le malattie, la necessità di trovare i soldi per le doti delle figlie femmine, e così un circolo vizioso senza uscita. Sono tra i due e i tre milioni i pa- chistani impiegati in questo set- cono loro: “Se non smettete di cercare vostra figlia, strappiamo delle pagine del Corano, le met- tiamo davanti casa vostra e di- ciamo che avete profanato il libro sacro. Così per voi sarà la fine”». Ingiustizie sociali e giudiziarie Essere cristiani in Pakistan, signi- fica infatti anche avere meno di- fese rispetto a quanti apparten- gono alla religione di maggio- ranza. A livello sociale, ma anche giudiziario. Lo ha imparato a sue spese la fa- miglia di Sawan Masih, uno dei 25 cristiani che si trovano attual- mente in carcere perché accusati di blasfemia. Sawan è stato accu- sato di aver offeso Maometto nel 2013 da un conoscente musul- mano. In seguito all’accusa, una folla ha dato fuoco all’intero quartiere cristiano in cui Sawan viveva, Jo- seph Colony a Lahore, distrug- gendo 200 case di cristiani e due chiese. Ma mentre gli 83 respon- sabili dell’attacco al quartiere sono stati tutti liberati su cau- zione, Sawan è stato condannato a morte in primo grado nel 2014, e ancora attende il processo d’ap- pello. Il processo viene infatti co- stantemente rimandato perché «il giudice incaricato è sempre impegnato in altre cause», come ci spiega l’avvocato del giovane cristiano, Tahir Bashir, che incon- triamo a Lahore assieme alla mo- glie di Sawan, Sabia, che cresce da sola i loro tre figli. La schiavitù dei mattoni Eppure Sawan è fortunato, per- ché, come ci riferisce Cecil

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