Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2019

12 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2019 pressi, su di loro comunque non si investe. La difficoltà che noi abbiamo nel gestire i centri per disabili mentali sta proprio nel fatto che i genitori è come se si stancassero di assi- stere i figli. Quindi o li confinano in casa, senza assisterli, oppure cercano di abbandonarli nei no- stri centri. Noi, come guanelliani, ci siamo sempre rifiutati di tenere i ragazzi lontano dalle loro fami- glie. Anche perché, nella realtà africana, una persona che non ha un legame famigliare non esiste (l’individuo è tale solo in quanto membro di una comunità, nda )». Non tutti i disabili, però, sono uguali. «I feriti di guerra sono visti come eroi e, come tali, trattati - nota Gigi Conforti, medico orto- pedico, da anni impegnato con Medici con l’Africa Cuamm in pro- getti a favore dei disabili -. Per loro c’è un’attenzione particolare anche da parte dello stato. In Etiopia, per esempio, i feriti nella guerra contro l’Eritrea combat- tuta alla fine degli anni Novanta non solo godono di assistenza, ma hanno anche uno status so- ciale elevato. Differente è la si- tuazione di donne e bambini. So- prattutto in campagna, dove ven- gono emarginati e isolati». In questo contesto, i guanelliani cercano di coinvolgere le famiglie creando reti, in modo che i singoli nuclei famigliari si sostengano vi- cendevolmente. Si ricrea così quella famiglia allargata che è uno dei pilastri della società afri- cana. La famiglia allargata è an- che una sorta di «ammortizzatore sociale» grazie al quale il disabile non è mai solo e, anche nel caso i genitori o i fratelli non potessero più prendersi cura di lui, trova co- munque un aiuto. Non solo i guanelliani, ma anche altre congregazioni religiose (come i sacerdoti e le suore del Cottolengo) e Ong lavorano all’in- tegrazione attraverso attività di sensibilizzazione. «Lo sforzo per migliorare le condizioni di vita dei disabili è indispensabile - osserva Tommaso Sartori, coordinatore per conto dell’Ong milanese Ce- lim del progetto Disability in Zam- bia -, ma sarebbe vano se a esso non si aggiungesse un attento la- voro di sensibilizzazione per ri- durre i pregiudizi e le discrimina- zioni». Celim ha attivato, insieme al mi- nistero della Sanità dello Zambia, un programma di conferenze aperte ai famigliari e agli opera- tori sanitari. «Stiamo anche rea- lizzando una serie di incontri nei vari quartieri di Lusaka - spiega Sartori -. L’obiettivo è far passare un’immagine diversa della disabi- lità. Far capire che chi vive con un handicap è una risorsa e non una AFRICA Alcuni dati L’impatto sociale della disabilità I n Africa, secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità, i disabili sarebbero tra i 60 e gli 80 milioni, circa il 10% della popolazione afri- cana, anche se in alcune delle zone più povere la percentuale sale fino al 20%. Quando si parla di disabilità, solitamente, ci si riferisce a una serie molto ampia di menomazioni, limitazioni e restrizioni alla normale attività fisica e mentale. I fat- tori sono molteplici: malnutrizione, menomazioni alla nascita, incidenti in casa, al lavoro o sulle strade, ma- lattie invalidanti, guerre, ecc. L a questione della disabilità non ha un carattere esclusivamente sanitario, ma anche sociale. Molti paesi hanno finanze troppo disastrate per poter creare un sistema di sostegno. Sebbene spesso leggi a favore dei disabili siano state approvate, man- cano edifici pubblici attrezzati, non ci sono farmaci adeguati, carrozzine e stampelle sono in numero non sufficiente. I portatori di handicap non riescono quindi a frequentare le scuole: solo tra il 5 e il 10% si iscrive a corsi regolari. Il risultato è che non più del 5% dei por- tatori di handicap adulti è in grado di leggere e scri- vere correttamente. Ciò, a catena, li esclude dal mondo del lavoro. L’Orga- nizzazione internazionale del lavoro (Ilo) stima che la disoccupazione delle persone disabili a livello mon- diale sia da due a tre volte superiore rispetto a quella delle altre persone. En.Cas. © Pius Utomi Ekpei / AFP

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