Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2019

AGOSTO-SETTEMBRE 2019 MC 11 eliminati e poi, d’accordo con la famiglia, si diceva che il piccolo era morto durante il parto. Se so- pravvivevano, venivano nasco- sti». Fino a qualche anno fa, per le strade, nei mercati, nelle scuole, non si vedevano portatori di han- dicap. Venivano relegati in casa e non era permesso loro di uscire. I missionari che arrivavano in Africa non li trovavano e, quando chiedevano dove fossero, veniva loro risposto che nel continente non esistevano. «Quando 25 anni fa sono arrivato in Nigeria - ri- corda fratel Lain -, l’idea della mia congregazione, in accordo con il vescovo locale, era quella di creare un centro per disabili. I ca- pivillaggio, invece, ci chiedevano una scuola e un ospedale e ci di- cevano che i disabili non c’erano. Noi eravamo stupiti. Un giorno, però, ci fermammo in un villaggio e ci venne incontro di corsa un ra- gazzo con la sindrome di Down e ci abbracciò. Ci rivolgemmo quindi al capovillaggio e gli di- cemmo: “Noi siamo qui per loro. Non vogliamo e non possiamo guarirli perché è cosa impossibile, ma vogliamo assisterli e aiutarli a inserirsi appieno nella loro so- cietà”. I leader locali capirono e ci sostennero come potevano». Possibile integrazione? Se le eliminazioni selettive, negli anni, sono gradualmente dimi- nuite (fino quasi a sparire), non è successo altrettanto per il senso di colpa e di vergogna da parte delle famiglie. Questo atteggia- mento è legato anche alle condi- zioni di vita della maggioranza degli africani. In molte nazioni non esistono forme di assistenza sociale, così i genitori fanno affi- damento sui figli per poter go- dere in vecchiaia di un minimo di benessere. «Per i genitori afri- cani - spiega fratel Lain -, il figlio è un investimento per il futuro. È chiaro che, in questa visione, un figlio disabile è una sorta di in- gombro. È un costo che “non dà un ritorno”. Di conseguenza se i disabili non vengono più sop- tuale. Un fenomeno che va inter- pretato. Il problema è che, molto spesso, la disabilità è stata com- presa in senso negativo: “Se è nato un disabile è perché qual- cuno ha fatto il malocchio, op- pure i genitori si sono comportati male, oppure conoscenti o pa- renti hanno fatto riti speciali, ecc.”. Quindi si guardava e si guarda ai portatori di handicap con paura, a volte con terrore». Nel passato, in alcuni paesi, si ar- rivava fino alla loro soppressione. L’uccisione dei piccoli disabili era prassi comune. «Anni fa - conti- nua fratel Lain -, spesso mi sen- tivo dire: “Ho affidato il bambino alla zia...”. Questo significava che i piccoli erano stati dati a chi sa- peva come eliminarli. In alcuni casi erano pure le madri a essere abbandonate e isolate dalle fami- glie insieme ai bambini». «Il disabile - conferma Pierre Kouasi, religioso africano dell’O- pera don Orione - era una sorta di maledizione. Non si capiva per- ché una famiglia potesse avere un figlio “non normale”. L’ucci- sione di un bambino disabile era una pratica comune. Venivano MC A • Disabilità | Integrazione | Assistenza | Sindrome di Down • In queste pagine : immagini del progetto Disability eseguito dall’Ong Celim di Mi- lano in Zambia. # © Af Ong Celim

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