Missioni Consolata - Luglio 2019

Come magistrato hai dovuto prendere decisioni che influivano in maniera decisiva sulla vita delle persone che eri chiamato a giudicare, come ti orientavi in queste circostanze? Decidere è scegliere e, a volte, scegliere tenendo presente le numerose strade o soluzioni che hai da- vanti. Scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto di- retto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione totale a Dio. Un rap- porto indiretto con la trascendenza per il tramite dell’amore verso la persona giudicata. «Amore per la persona giudicata», sono parole tue. Sono parole da leggere e rileggere, da pe- sare in tutta la loro dirompente forza rivoluzio- naria. L’unica forma di vero autentico amore possibile è quella cristiana, l’unica che rovescia i ruoli, come quello di chi giudica, e quindi ha il potere, e di chi deve essere giudicato. Il punto di vista da cui si guardano le cose e gli avvenimenti della cronaca quotidiana è, per un cristiano, quello da cui le guarda Dio. Quello di un padre, appunto, che tutto ha fatto e tutto ama. In questa affermazione possiamo riscontrare il tuo rifiuto di avere una scorta fissa al tuo fianco nonostante le numerose minacce che ti erano arrivate dagli ambienti mafiosi? Non mi sentivo per niente un eroe, facevo sempli- cemente il mio dovere. E lo facevo coniugando le ragioni della giustizia con quelle della fede cristiana. Il mio senso del dovere, messo al servizio della giu- stizia faceva di me una specie di missionario: il «missionario» del diritto, così mi chiamavano alcuni colleghi. Allo stesso tempo, per la profonda cono- scenza che avevo del fenomeno mafioso e per la ca- pacità di ricreare trame, di stabilire importanti nessi all’interno della complessa macchina investigativa, con il passare del tempo mi venivano affidate delle inchieste molto delicate. Determinato a contrastare il fenomeno ma- fioso nella tua terra, firmavi sentenze su sen- tenze contro gli uomini di Cosa Nostra, in que- sto modo entravi sempre più nel loro mirino. Sapevo molto bene i rischi che correvo, ma conside- rando che ero l’unico tra i sostituti procuratori di Agrigento a non avere famiglia, chiesi che mi fosse affidata una difficile inchiesta di mafia e con fiducia totale mi affidai - come sempre - nelle mani di Dio. tolico, coerente e praticante, era visto come te- stimonianza di una persona che non aveva paura di mostrare in pubblico quello che era il tesoro prezioso che portava in cuore. Il dono della fede che mi portavo in cuore mi aiu- tava a leggere la realtà con occhi diversi. Questo an- che nella prassi quotidiana dove non mi acconten- tavo di risposte tradizionali o superficiali ai grandi problemi che la mia professione continuamente mi poneva davanti, ma cercavo incessantemente il senso sia dell’esistenza che dei valori insiti nella persona umana. Non si spiegherebbe altrimenti la tua decisione di ricevere il sacramento della Confermazione nel 1988, a ben 36 anni. Per compiere l’itinerario di preparazione al sacra- mento scelsi di inserirmi in un gruppo di ragazzi - fu- turi cresimandi - per ascoltare in assoluto anoni- mato, tutte le settimane, il catechismo che veniva dato per coloro che avrebbero ricevuto durante l’anno la Cresima. In fondo non ti sei mai sentito un cristiano arri- vato. Vivevi una continua ricerca di assoluto, eri un cristiano che voleva spingersi sempre oltre, andare al di là dei confini spirituali, considerati «tranquillizzanti» per dei credenti «normali». Il mio essere cristiano cattolico me lo sono conqui- stato pezzo per pezzo, perché a mano a mano che proseguivo la mia ricerca, mi rendevo conto che cattolici cristiani si diventa, non si nasce. L’essenza dell’esperienza di fede, che è conquista, lotta e cammino, può diventare un formidabile programma di vita per un vero credente. LUGLIO2019 MC 69 MC R

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