Missioni Consolata - Luglio 2019

4 chiacchiere con « i Perdenti» di Mario Bandera 68 MC LUGLIO2019 La mattina del 21 settembre 1990 il giudice Rosario Livatino venne ucciso lungo la strada statale 640 che da Agrigento porta a Caltanis- setta. La sua auto venne speronata e spinta fuori strada. Il giovane giudice, già ferito a una spalla, tentò la fuga correndo per i campi, ma venne raggiunto e poi ucciso con un colpo di pistola in pieno viso. Livatino aveva solo 38 anni, era nato a Cani- cattì il 3 ottobre 1952. Durante gli anni del liceo e poi dell’università era stato uno studente brillante, negli studi aveva seguito le orme del padre Vincenzo. Si era laureato con lode all’età di 22 anni, giovanissimo, presso la facoltà di Giurisprudenza all’università di Palermo. Poco tempo dopo vinse il concorso indetto dalla ma- gistratura, pertanto divenne giudice a latere presso il tribunale di Agrigento. Alcuni mesi dopo la morte del giovane giudice, l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga definì «giudici ragazzini» una serie di giovani magistrati impegnati nella lotta alla mafia. Anni dopo, in una lettera alla famiglia, Cossiga provò a circostanziare quelle afferma- zioni, scrivendo che non intendeva riferirsi a Livatino, che descrisse come «eroe» e «santo». Papa Giovanni Paolo II lo definì «martire della giustizia e, indirettamente, della fede». La sua esecuzione fu un’azione coordinata da un commando formato da quattro malviventi ventenni appartenenti alla cosiddetta «Stidda», ovvero l’associazione mafiosa che, secondo i magistrati, si contrapponeva a Cosa Nostra. Il giudice Livatino fu ucciso perché «perse- guiva le cosche mafiose impedendone l’attività criminale, laddove si sarebbero aspettate dalle istituzioni un trattamento più “morbido”, cioè una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno debole, (atteggiamento) che ha con- sentito in molti casi la proliferazione, il raffor- zamento e l’espansione della mafia». 44. Rosario Livatino, il «giudice ragazzino» Così è scritto nella sentenza che ha condan- nato i suoi assassini. Dell’omicidio del giudice, furono individuati dalle forze dell’ordine gli esecutori e i mandanti e condannati all’erga- stolo. Il processo di beatificazione avviato dalla diocesi di Agrigento è stato aperto uffi- cialmente il 21 settembre 2011, nel 21° anniver- sario della sua morte. Caro giudice Livatino, di fronte alla testimo- nianza di vita che tu hai offerto attraverso il tuo percorso umano e professionale esemplare, c’è da rimanere ammirati e stupiti. Io mi muovevo sostenuto da alcuni principi fonda- mentali, acquisiti soprattutto nella mia famiglia, che stavano alla base del mio impegno in magistratura. Ero convinto che «rendere giustizia è preghiera» e che «per giudicare occorre la luce, e nessun uomo è luce assoluta». Per te era chiaro che l’indipendenza del giudice stava sia in una coscienza rettamente formata che nella fedele interpretazione della legge. Avevo ben chiaro che la funzione di un giudice do- veva avere come base una cristallina libertà morale, una ferrea fedeltà ai principi della Costituzione, una grande capacità di sacrificio, buona conoscenza del- l’immenso patrimonio legislativo, chiarezza e linea- rità nelle decisioni da prendere, oltre a un’autentica trasparenza di condotta anche fuori delle aule giu- diziarie. Vedevi la funzione del giudice quasi in ottica «francescana». Soprattutto avevo ben chiaro che assumendo una funzione così importante nella vita pubblica e so- ciale dovevo rinunciare a ogni desiderio di incarichi e prebende. Specie in un settore che, per sua na- tura o per le sue implicazioni, può produrre il germe della contaminazione e il pericolo dell’interfe- renza. In fondo è nella sua indipendenza e onestà che un giudice guadagna la sua credibilità, che deve conquistare nel travaglio delle sue decisioni e in ogni momento della sua attività. È risaputo che non facevi nulla per nascondere la tua fede religiosa. Il tuo essere cristiano cat-

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