Missioni Consolata - Luglio 2019

nel partito conservatore ed è montato fino al punto che, nel gennaio 2013, David Cameron, se- gretario del partito, ha promesso che, se la sua formazione politica avesse ottenuto la maggioranza parlamentare alle elezioni politi- che del 2015, avrebbe indetto un referendum per chiedere al po- polo inglese se voleva o meno ri- manere in Europa. Promessa te- meraria perché Cameron era pro Europa, ma sperava che, con al- cune rinegoziazioni, il popolo si sarebbe espresso per il sì e ciò gli avrebbe permesso di mettere fi- nalmente a tacere il dissenso in- terno. Il referendum del 23 giugno 2016 è stato però vinto da chi vo- leva lasciare - ecco la famosa «Brexit» - con un vantaggio dell’1,9% dei voti. Cameron ha ab- bandonato ogni carica e al suo po- sto è diventata primo ministro Theresa May, il cui compito princi- pale è stato di gestire il divorzio con l’Unione europea. Compito però non semplice, perché, al di là della retorica legata al problema migratorio, i problemi veri sono quelli economici, sapendo che ogni settore presenta le sue pecu- liarità e quindi le sue esigenze tal- volta più propense a mantenere legami con l’Unione europea, tal- volta a reciderli del tutto. Le imprese e la Ue In linea di massima le imprese britanniche hanno un rapporto di amore-odio con l’Unione europea. Di amore perché è un mercato protetto, quindi sicuro. Di odio perché co- stringe a sottostare a re- ferma: in Inghilterra la comunità straniera più numerosa è quella polacca con quasi un milione di persone. Seconda è quella rumena con mezzo milione. Quella in- diana, che caratterizzava l’immi- grazione del secolo scorso, ormai arriva terza con poco più di 300mila persone. Per Ukip ce n’è abbastanza per concludere che i mali degli inglesi vengono dall’ap- partenenza all’Unione europea e che solo abbandonando l’Unione potranno essere risolti. Euroscettici (da sempre) L’Ukip non è la sola a pensarla così. In Inghilterra l’adesione all’U- nione europea è sempre stata una questione controversa che ha ge- nerato divisioni in ogni partito. E ogni volta è stato un referendum a decidere quale scelta compiere. La prima volta è successo nel 1975 per decidere se confermare o meno l’adesione dell’Inghilterra al Mercato comune avvenuta due anni prima. Poi è successo di nuovo nel 1998 per chiedere al popolo inglese se voleva adottare la moneta unica. E se nel primo caso gli europeisti avevano vinto due a uno, nel secondo sono stati gli euroscettici a vincere con l’84% dei voti. Una linea sostenuta prin- cipalmente dai conservatori a di- mostrazione di quanto questo par- tito sia sempre stato ten- tennante rispetto all’Europa. Con la nascita dell’Ukip gran parte del dissenso è mi- grato, ma una parte è rimasto E la chiamano economia 62 MC LUGLIO2019 La colpa è degli stranieri Benché siano già passati sei anni dal collasso dei grandi gruppi ban- cari, l’onda della crisi non si è an- cora esaurita e ovunque si con- tano i danni, anche in Inghilterra. La disoccupazione, che nel 2007 era al 5,3%, ha raggiunto l’8,1% nel 2011 e nel 2013 era ancora al 7,6%. Intanto gli studi sulla po- vertà raccontano di una situazione sociale ancor più preoccupante. Un rapporto, pubblicato nel 2014 dal Poverty and Social Exclusion in collaborazione con The Open Uni- versity , certifica che in trenta anni la percentuale di famiglie al di sotto dello standard di vita mi- nimo è passata dal 14 al 33%. Più in specifico: 18 milioni di persone non possono permettersi un’abi- tazione adeguata, 12 milioni sono troppo povere per avviare qual- siasi attività economica, una su tre non riesce a scaldare a sufficienza la propria casa, 4 milioni, fra adulti e bambini, non mangiano in ma- niera appropriata. Ma Ukip sa a chi attribuire la responsabilità delle sofferenze inglesi: la colpa è degli stranieri che possono inse- diarsi con troppa facilità in Inghil- terra. Una colpa che dimostra con l’aiuto dei numeri: fra il 2004 e il 2017 la presenza di stranieri (sia quelli nati all’estero che quelli nati in Inghilterra da genitori stranieri) è quasi raddoppiata passando da 5,3 a 9,4 milioni. A livello nazio- nale rappresentano il 14% della popolazione con punte che in certe aree arrivano al 50%. E se in passato ai porti inglesi si presenta- vano prevalentemente africani ed asiatici, ora arrivano soprattutto cittadini dell’Unione europea che non hanno bisogno di visti per ol- trepassare la frontiera inglese. L’ Office of National Statistics con- © Gage Skidmore A lato : Nigel Farage, già capo dell’Ukip e parla- mentare europeo, oggi leader del Brexit Party, che alle elezioni europee del 26 maggio ha otte- nuto 29 seggi. #

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