Missioni Consolata - Luglio 2019
celle in frontiera non sono attrezzate con letti, per- ché considerate luoghi di passaggio in cui le per- sone dovrebbero essere detenute per poche ore. «Numerosi migranti hanno dichiarato di essere stati detenuti per molti giorni nelle hieleras - spiega la professoressa Ursula Andrade -. Le temperature basse servono, ufficialmente, per evitare il rischio di contagio, ma si tratta di una pratica inumana e degradante molto simile alla tortura». Durante il procedimento legale in cui le autorità verificano se i migranti possono essere conside- rati titolari di protezione internazionale, le per- sone vengono trasferite in strutture detentive al- l’interno del paese. «In carcere, ho indossato l’uni- forme arancione - racconta Petrona -. Come se fossi una criminale, come se avessi ucciso qual- cuno, come se avessi rubato qualcosa. A un certo punto l’avvocato che seguiva il mio caso mi ha detto che non avevo diritto a uscire dietro cau- zione, ma potevo fare appello e chiedere che riva- lutassero il mio caso. Erano già 5 mesi che ero in carcere e non me la sono sentita. Ho quindi fir- mato la mia stessa deportazione». Durante l’amministrazione Obama era possibile essere rilasciati dietro cauzione durante il pro- cesso, ma molti migranti non potevano pagarne il costo, per cui firmavano deportazioni volontarie per evitare di rimanere ulteriormente in carcere. «In prigione stavo sempre a letto, non mangiavo, vivevo con detenute violente che avevano com- messo dei crimini gravi e io mi sentivo morire - racconta Isabel -. Ho chiesto di rimandarmi in Guatemala. Non ce la facevo più a vivere così». Per chi riesce a superare la frontiera senza essere catturato, inizia la vita negli Stati Uniti che, in parte, verrà vissuta nel timore della deportazione. Nell’anno fiscale 2018, l’Ice, Immigration and Cu- stoms Enforcement , l’agenzia statunitense che si occupa del controllo di dogana e dell’immigra- zione anche all’interno del paese, ha ordinato 287.741 deportazioni di persone senza documenti che vivevano nel paese. Si tratta del più alto nu- mero di deportazioni dal 1992. Tra di loro c’erano persone che vivevano e lavoravano negli Stati Uniti da anni. Secondo i dati Oim del 2017, il 37% dei migranti guatemaltechi non riesce ad arrivare negli Stati Uniti e viene deportato nel paese di origine. Oltre al peggioramento delle proprie condizioni econo- miche a causa del pagamento dei debiti di viaggio, la detenzione e la deportazione lasciano traumi individuali difficili da sanare e che spesso coinvol- gono la dimensione collettiva, perché per molti la migrazione è un progetto di famiglia, più che per- sonale. Dopo la deportazione, Petrona e Isabel non hanno pensato di provare nuovamente a migrare negli Stati Uniti a differenza di molte altre persone che continuano a cercare una via di fuga dal loro paese di origine. Nonostante le violenze subite lungo il cammino e sulle frontiere, c’è chi vive più esperienze migratorie nel corso della propria vita, LUGLIO2019 MC 51 D H ANNO FIRMATO QUESTO DOSSIER : • S IMONA C ARNINO - Giornalista e documentarista, è specializzata in diritti umani, migrazioni e coopera- zione internazionale. Ha scritto per anni di temi ambien- tali e politici. Nel 2015 ha realizzato il documentario « Aguas de Oro » (www.aguasdeoro.org) sulla lotta di Maxima Acuña Chaupe, vincitrice del premio Goldman, in Perù. Ha lavorato 5 anni per Amnesty International e ha maturato esperienza nella gestione di progetti di co- operazione in America Latina. In Italia ha lavorato nel si- stema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati poli- tici. È coautrice della serie « Passaggi », su cui MC ha pubblicato un dossier nel maggio 2017. • A CURA DI : Marco Bello, giornalista redazione MC. • F OTO DELLE COPERTINE In prima di copertina : migranti centroamericani in una carovana al confine tra Guatemala e Messico. In ultima di copertina : Guatemala, Francisco e suo figlio Wilson fanno volare i tipici aquiloni nel giorno dei morti. • F RAME V OICE R EPORT La realizzazione di questo dossier rientra nell’ambito del progetto « The Power of Passport », eseguito da MAIS Ong, ed è stata possibile grazie al finanziamento dell’Unione Europea attraverso al bando « Frame, Voice, Report! » del Consorzio Ong Piemontesi (Cop). Il sito del progetto e un video sulla carovana: www.thepowerofpassport.org video.sky.it/news/mondo/sky-tg24-mondo-terra- promessa/v505199.vid perché l’obiettivo rimane «arrivare dall’altra parte», come si dice in America Latina, anche se il prezzo è alto. «Gli stati di origine, destinazione e transito della migrazione devono provare a collaborare per creare delle politiche a favore delle persone più vulnerabili economicamente in modo che non siano obbligate a migrare - conclude Carolina Ji- menez di Amnesty International -. E in caso una persona volesse migrare, dovrebbero garantire che possa viaggiare in forma sicura, fornendole dei documenti regolari, invece di anteporre, come avviene ora, la protezione delle frontiere e della nazione ai diritti umani delle persone». Simona Carnino CAROVANE MIGRANTI D
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