Missioni Consolata - Luglio 2019

I figli statunitensi Teresa è partita per gli Stati Uniti nel 2006. È ri- uscita a superare la frontiera senza essere intercet- tata dalla polizia ed è arrivata in Virginia. Ha lavo- rato come cameriera in un fast food fino al 2017. Te- resa non è mai riuscita a ottenere un visto lavora- tivo, né la green card (permesso di lavoro, ndr ). Du- rante gli 11 anni di vita negli Stati Uniti ha avuto tre figlie che sono americane, perché negli Stati Uniti vige lo Ius soli , il diritto alla cittadinanza di un paese per nascita sul suo territorio. Il 14esimo emenda- mento della Costituzione degli Stati Uniti, approvato nel 1868, infatti recita che «tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti, e soggette alla sua giurisdizione, sono cittadine degli Stati Uniti e dello stato in cui risiedono». Il presidente Donald Trump ha pubblicamente dichiarato l’intenzione di battersi per l’abolizione dello Ius soli che interpreta come un incentivo alla immigrazione illegale, ma secondo un sondaggio condotto dal Wall Street Journal, il 65% degli statunitensi si è detto in disaccordo con lui. «Sono felice che le mie bambine siano americane - racconta Teresa con la tenerezza che emerge dal sorriso -. Possono viaggiare in tutto il mondo e non devono vivere una vita come la mia». Nel 2017 Te- resa è dovuta ritornare in Salvador per un’emer- genza famigliare. Ha messo le sue figlie su un aereo e lei è tornata via terra, perché i controlli aeropor- tuali avrebbero svelato la sua mancanza di docu- menti. «Mi mancavano molto il Salvador e i miei af- fetti - racconta Teresa -. Ho colto l’occasione per ca- pire se fosse possibile ritornare a vivere lì con le mie figlie. Siamo rimaste tre mesi, poi un giorno ho assi- stito a un omicidio per la strada e ho testimoniato in tribunale. Da lì ho capito che non sarei stata più si- cura e ho rimandato le mie figlie negli Stati Uniti. Ora viaggio nella carovana perché voglio assoluta- mente tornare da loro che sono in Virginia con il loro padre». Esmeralda, Eriberto e Teresa e tutti i migranti che non solo viaggiano in carovana, ma che ogni giorno migrano sulle rotte messicane con un coyote , sono uniti dallo stesso obiettivo. La volontà di cambiare, di migliorarsi, di vivere la vita che non hanno potuto costruire in un paese piegato dalla violenza, dalla precarietà e dall’abbandono da parte delle istitu- zioni. E non c’è un muro reale o virtuale che li può fermare. La violenza della polizia, il rischio di essere sequestrati dai narcos o la retorica anti migrante del governo degli Stati Uniti non sono motivi sufficienti a far cambiare i piani a chi ha deciso di lasciare la sua terra di origine. E allora si torna a camminare. Teresa mette le foto delle sue tre bambine in un piccolo marsupio che ap- pende al collo. La strada è ancora lunga. L’obiettivo è Tijuana e poi da lì si separeranno. Nei pressi della frontiera statunitense, le carovane si disgregano perché, quando è ora di attraversare la frontiera, tutti sanno che dovranno farlo in maniera nascosta e allora per sé. Eriberto ed Esmeralda sono convinti di voler chiedere asilo, ma Teresa sa già che è molto difficile ottenerlo. Lei pagherà qualcuno che la aiuti 40 MC LUGLIO2019 D D

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