Missioni Consolata - Giugno 2019

© AfMC / Benedetto Bellesi - Gerusalemme, modello del Tempio, scalinata d’ingresso MC R ebrei, ritengono che il modo più facile per incon- trare Dio sia andare al tempio di Gerusalemme. Non pensano di essere stati mandati a rinnovarne o abolirne il culto. È pur vero, però, che vanno al tempio per la preghiera della sera, l’unica che non prevedeva l’offerta di sacrifici (è solo un caso, oppure già sono consapevoli che con Gesù i sacrifici animali sono diventati inutili?). E insieme, pur essendo ga- lilei, decidono di non tornare a casa: evidente- mente pensano che debba succedere, a breve, qualcosa di importante in città. Sulla strada, trovano uno storpio che chiede l’e- lemosina. La città e i dintorni del tempio erano pieni di mendicanti. Pietro ne viene forse colpito, ma non ha soldi. «Quello che ho, te lo dò: nel nome di Gesù, alzati e cammina!» (At 3,6). Quell’uomo cercava soldi, Pietro guarda la per- sona e le viene incontro. Offrendo la possibilità di non avere più bisogno di invocare la benevolenza dei passanti. Il primo volto della neonata chiesa è quello di chi si accorge di chi c’è accanto e viene incontro a quel bisogno; non in modo paternali- stico e provvisorio, come avrebbe fatto dando delle monete, ma puntando a rendere la persona capace di prendere in mano la propria vita. E questo Pietro lo fa «nel nome di Gesù». La prima chiesa è ricca di Gesù. Non si limita a predi- care, ma agisce, facendo esattamente ciò che avrebbe fatto Gesù. Luca aveva appena detto che «segni e prodigi avvenivano per opera degli apo- stoli» (At 2,43), ed eccoli subito visibili. La missione non è semplicemente quella di annunciare un messaggio, ma di proseguire il vangelo, iniziando a operare, in prima persona, ciò che aveva fatto Gesù. Pietro non usa il nome del Maestro come una parola magica, ma si mette al suo posto, ripe- tendo il modo con cui aveva visto tante volte com- portarsi il maestro. La prima chiesa, da subito, si chiede che cosa farebbe Gesù al suo posto, e lo fa. Una chiesa arcaica (At 3,11-26) Come è prevedibile, allo stupore del miracolo segue un discorso di Pietro che lo spiega. Succede molto spesso, negli Atti degli Apostoli, che i perso- naggi importanti spieghino, in brevi discorsi, ciò che è accaduto. Era tipico di tutte le opere storiche dell’antichità, e Luca è un buono storico, che sa come si scrive. Inoltre, ci ricorda che non c’è niente di magico in ciò che accade, tanto che se ne può sempre spiegare la ragione. Prodigi, di certo, ma non magia: Dio non vuole privarci della nostra intel- ligenza. Può semmai stupirci il modo con cui Pietro parla di Gesù. Non so se sia consolante scoprire che stu- pisce anche i biblisti. Gesù viene infatti definito il «servo» (At 3,13,26: riprendendo di certo l’immagine del servo del Si- gnore di Isaia), e poi il «santo e giusto» (3,14), «l’autore della vita» (3,15), tutti titoli che di certo si addicono a Gesù, ma non ci sono per niente con- sueti. Di fatto, non erano consueti neppure più al tempo della chiesa di Luca, e non saranno ripresi nelle preghiere che sono arrivate fino alla nostra li- turgia. Altrettanto curioso è il tipo di ragionamento che troviamo in 3,19-21: se ci si pente (se si «inverte il senso» della propria vita) il Signore, ossia il Padre, ci consolerà e farà tornare a noi Gesù, che sembra essere lì in attesa di venire a finire l’opera che ha iniziato. Dopo duemila anni non ci aspettiamo certo che Gesù stia per ritornare da un momento all’al- tro, ma è significativo, di nuovo, che lo stesso Luca, che scrive molti anni dopo il discorso di Pietro, non sembra credere a un’idea del genere, tanto che non la ripeterà più nel resto del suo libro. Ancora, è strano sentire presentare Gesù come quel profeta che compie la promessa divina di man- dare qualcuno simile a Mosè (At 3,22-24). E, infine, ci suona curiosa l’affermazione finale, secondo cui Gesù compie la parola garantita ad Abramo, per il bene di tutti i popoli, ma soprattutto di Israele (3,24-26). Che cosa dovremmo pensarne? Che di certo questo discorso non è tutta farina del sacco di Luca, il quale invece l’ha ripreso da altri, più vecchi di lui. Che all’inizio della chiesa, nei primi tempi, non tutto era chiarissimo, e alcune idee si sarebebro do- vute precisare meglio in seguito. È ciò che nella sto- ria, anche personale, è sempre accaduto e accadrà: troviamo le parole giuste per spiegare certi pas- saggi della nostra vita solo lentamente, anche se il loro senso era già lì, presente fin dall’inizio. Ma in fondo Luca ci dice soprattutto che il modo con cui si pensa a Gesù, si capisce il suo ruolo e la sua importanza e si cerca di annunciarlo, cambia nel tempo, si trasforma, perché cambiamo noi e perché capiamo meglio le cose. Anche la chiesa ha cambiato e approfondito il suo modo di pensare a Gesù, perché è nella storia e cresce e si sviluppa non solo in ciò che fa ma anche in ciò che crede. In ogni caso, a restare immutato nei tempi è il deside- rio di unirsi a Gesù e di vivere come lui vivrebbe. GIUGNO2019 MC 31

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