Missioni Consolata - Giugno 2019
terrogare gli ostaggi. Vogliono sa- pere da dove provengono e per- ché si trovano lì, poi chiedono informazioni sulla dislocazione dell’esercito e sulla strada libera dalle mine per poter entrare nel- l’area protetta, ma non ricevono le risposte che vorrebbero. Dato che comincia ad albeggiare, gli assalitori decidono di inoltrarsi nel bosco con gli ostaggi per circa tre chilometri, poi si fermano, se- parano una decina di ragazzi dal resto del gruppo per portarli nelle loro basi, e uccidono a sangue freddo tutti gli altri. Prima di essere uccisi, i catechisti chiedono di poter pregare e gli as- sassini glielo concedono. Il bilancio finale dell’assalto e del massacro è di 23 persone uccise, tra cui sei bambini tra uno e 13 anni. Il ventiquattresimo martire, il ca- techista Peres Manuel Chimganjo, venne ucciso invece il 13 settem- bre del 1987, cinque anni prima, sempre a Guiúa, in circostanze si- mili. Custodi, animatori, testimoni I catechisti sono custodi, anima- tori e testimoni delle loro comu- nità cristiane. I ventiquattro mar- tiri di Guiúa lo sono stati in modo speciale. Sono stati custodi , ossia «missio- nari laici», come già erano definiti i catechisti mozambicani nel 1977, ossia «padri di famiglia trasformati in apostoli» che hanno saputo conservare con cura, difendere e proteggere non soltanto la fede dei loro fratelli, ma anche il patri- monio della Chiesa nel tempo in cui essa era sotto il marxismo e colpita dalla guerra civile. Padre Cornelio Prandina, combo- niano morto nel 1992, descri- vendo le attività dei catechisti di- ceva: «Sono incaricati di dirigere e coordinare la vita di decine di co- munità, specialmente dove non c’è il sacerdote. Alcuni arrivano ad avere la responsabilità di più di 50 comunità». Sono stati testimoni , cioè non hanno avuto paura di testimoniare la loro fede di fronte al pericolo. Uno degli scampati del 21 marzo 1992 ha raccontato l’interrogato- rio subito dai guerriglieri: « Da dove venite? ». «Veniamo da diverse missioni della provincia». « Per fare che cosa? ». «Noi siamo catechisti: impariamo la Bibbia e i diversi lavori dei cri- stiani nelle comunità cristiane». « Dov’è il vostro cibo? ». «Siamo poveri, non abbiamo ma- gazzino e viviamo alla giornata». « Dove sono i militari che vi difen- dono? ». «Non lo sappiamo. Non siamo di qui, veniamo da lontano perché qui c’è una chiesa e un Centro che forma i catechisti». « Voi siete sacerdoti? ». «No. Siamo catechisti». « Che abbiate risposto bene o male, giusto o sbagliato, per voi la fine sarà la stessa: cioè la morte ». Sono stati animatori di comunità: durante quegli anni alcuni di loro, reagendo alla paura, riunivano pic- coli gruppi di cristiani, anche di due o tre persone soltanto. Poco im- portava se all’ombra di una ca- panna o sotto una pianta di caju (anacardio). In tutto il Mozambico, scomparsi i quadri organizzativi della chiesa, le piccole comunità cominciavano discretamente a riaggregarsi per pregare e leggere la Bibbia, grazie al lavoro dei cate- chisti. Progressivamente, si sono formate e rafforzate tante piccole comunità, organizzate attorno alla Parola e alla preghiera al fine di ga- rantire il servizio della fede e l’aiuto ai fratelli in necessità: il ca- techista svolgeva un ruolo fonda- mentale. L’essere e l’agire della co- munità radunata attorno al cate- chista o all’animatore, che si trat- tasse dell’azione semplice di ogni giorno o dell’estremo dono di sé, esprimevano la concezione di una vita messa a disposizione della Pa- rola e della legge del Signore. Era questa la loro prima e radicale espressione. Si trattava di una vera e propria spiritualità del martirio. Joaquim, Isabel e Carlos Sul catechista cinquantatreenne JoaquimMarrumula Nyakutoe si dice che fosse uomo coraggioso e pieno d’amore verso la sua gente, e che seppe, con il suo zelo apo- stolico, formare e animare la sua comunità cristiana di Guissembe. Aveva dieci figli, dei quali tre fu- rono rapiti e tornarono a casa dopo sei mesi. Sulla catechista quarantacin- quenne Isabel Foloco si dice che fu una donna sempre disponibile ad animare la comunità e a collabo- rare nei diversi impegni. I più biso- gnosi della comunità trovavano sempre in lei un aiuto. Aveva cin- que figli e fu uccisa davanti a loro. Su Carlos Mukuanane trenta- duenne si dice che aveva una buona capacità di leader. Fu scelto per essere catechista e animatore della comunità di Funhalouro che si trovava senza sacerdote. Seppe animare la sua comunità cristiana nella preghiera e lettura della Bib- bia. Aveva quattro figli. Sono tre esempi di custodi, testi- moni e di animatori di comunità che hanno dato la loro vita mentre si preparavano per il loro mini- stero. Il sacrificio delle famiglie di Guiúa non è stato inutile, perché quel luogo oggi è il fulcro della dio- cesi di Inhambane, dove si può toc- care e vedere l’impronta della pre- senza di Dio nella terra dei Tonga, dei Twas, degli Xopes e degli Ndaus. Voglia Dio aprire gli occhi e la mente di tutti perché possiamo percepire, ricordare e valorizzare debitamente quest’apertura del cuore di Dio per Inhambane. Osório Citora Afonso MOZAMBICO 28 MC GIUGNO2019
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