Missioni Consolata - Giugno 2019
ETIOPIA luogo di passaggio, sia da Gibuti che dal Sud le strade s’incrociano a Modjo per arrivare ad Addis Abeba. Fuori dalla città ci sono villaggi ti- pici tradizionali nei quali le per- sone lavorano la terra. Diversi giovani di Modjo lavorano ad Ad- dis Abeba o a Nazareth e tornano nei week end». Come si presenta il territorio? «Modjo è in una zona semiarida. La città è piatta, si trova nella Rift Valley. Attorno ci sono colline sulle quali viene coltivato grano e teff, un cereale locale. Noi lavoriamo con la gente della città. Ma abbiamo tre cappelle fuori. Una a 4 km in zona rurale, una in una piccola cittadina a 15 km e la terza è a 11 km sulle col- line. In quest’ultima operano tre famiglie. In due di queste cap- pelle c’erano due asili informali. Uno gestito da una suora, l’altro da una maestra. Ma il governo centrale ha chiesto di renderli de- gli asili formali, di tre anni, con il personale. Quindi l’attività è stata ridotta a semplice accoglienza il sabato e la domenica». In Etiopia, su 108 milioni di abitanti, i cattolici sono pochi: intorno agli 800mila. Quasi tutti gli altri sono musulmani (37 milioni), ortodossi (47 mi- lioni) o protestanti (20 milioni). «Penso che nella nostra parroc- chia siano elencate un centinaio di persone sul registro dei batte- simi. Ci sono una ventina di ado- lescenti. Poi qualche famiglia con « L e chiese ortodosse si trovano spesso su cocuzzoli di montagna, con piccoli villaggi nelle vicinanze. La chiesa di Tekle Haymanot, 60 km a Nord Est della capitale, si trova su un piccolo ripiano a metà di una valle molto sco- scesa, nel distretto di Bereh. Il posto è legato alla storia della Chiesa etiopica perché il santo Tekle Haymanot (nome che si- gnifica Pianta della fede) è stato riformatore del monachesimo nel XIII secolo e fondatore del monastero Debre Libanos. Attorno alla chiesa si estendono campi sassosi dove si coltiva il grano. Ci sono un piccolo villaggio, una sorgente di acqua cui si attribuiscono proprietà curative, e un gruppo di capanne abi- tate dagli studenti della chiesa (quelli che noi chiameremmo “seminaristi”), qui soprannominati kollò tamari , da tamari , studente, e kollò , grano abbrustolito, perché hanno la tradi- zione di elemosinare nelle case il cereale. A pochi minuti dal villaggio sulla ripida costa della montagna, vivono, in alcune grotte, dei monaci eremiti. C’è anche una pic- cola chiesa rupestre, scavata a mano nel tufo della montagna e dedicata a San Michele. Facemmo una visita a quella chiesa il giorno della festa di Tekle Haymanot. Vedemmo un giovane monaco di pochissime parole. Non rispose subito alla nostra richiesta di visitare le grotte, ma fece capire che era possibile. Prima di tutto bisognava togliersi le scarpe, come usano i fedeli nei luoghi sacri. Poi, con mia sor- presa, il monaco ci condusse ai piedi della ripida scarpata che avevamo appena salito, e ci portò all’imbocco di una grotta sca- vata a mano. Feci presente che non avevamo niente per illumi- nare il tunnel, ma rispose che non era necessario. Ci fece pren- dere per mano come a formare una catena e iniziò a salire nel buio più completo. Il cunicolo aveva a tratti delle impennate brusche, dove avevi l’impressione di cadere nel vuoto. Dopo un tempo che parve molto più lungo del reale arrivammo ad alcuni scalini scavati nella roccia. Qui il monaco ci fece fermare e andò ad aprire una porta. Finalmente vedemmo di nuovo la luce del giorno e ci ac- corgemmo di essere arrivati a pochi metri dalla chiesa di San Michele. In seguito un altro monaco mi spiegò che il cunicolo rappre- senta l’inferno (Sheol). Quando esci e ti trovi nella luce, sei come alla porta del Paradiso». Una visita ai monaci ortodossi © AfMC_Domenico Brusa © AfMC_Domenico Brusa
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