Missioni Consolata - Maggio 2019

mane il calcolo del centro studi te- desco Cep ( Centrum für Europäi- sche Politik ) secondo il quale l’in- gresso nell’euro ha permesso alla Germania di accrescere la propria ricchezza di 1.893 miliardi di euro dal 1999 ad oggi, 23mila euro in più per ogni cittadino tedesco. Per contro, l’Italia sarebbe quella che ci ha rimesso di più: in 20 anni avrebbe perso 4.325 miliardi di euro, 73.605 euro in meno per ogni italiano (numeri visibili nei due grafici, ndr ). Lo studio non è molto chiaro sui criteri di calcolo, per cui si tratta di numeri da prendere con le pinze. È innegabile, tuttavia, che l’euro abbia giocato (e giochi) un ruolo frenante nei confronti dell’Italia, non solo perché - non potendo svalutare - il nostro paese ha perso quote di mercato interno a favore di una Germania più com- petitiva, ma soprattutto perché si è dovuta piegare alle politiche di austerità imposte dall’Europa in nome dell’alto debito pubblico. Lo stesso Jean-Claude Juncker, presi- dente della Commissione euro- pea, in un discorso tenuto a inizio anno al Parlamento europeo ha parlato di «austerità avventata» da parte dell’Europa. Austerità che, per l’innalzamento delle tasse e la riduzione delle spese da parte dello stato, ha provocato una pe- sante battuta d’arresto nella do- manda di beni e servizi aggra- vando la recessione messa in moto dalla crisi finanziaria mon- diale. Uscire dall’euro? Nonostante tutto, sembra che la domanda se rimanere o uscire dal- l’euro non si ponga più, in quanto la maggior parte degli italiani sem- bra propensa a restare temendo che, in caso di uscita, le perdite possano essere superiori ai van- taggi. Ciò non toglie che si debba fare una battaglia più ampia per chie- dere una diversa gestione del- l’euro perché questo è il vero nodo da affrontare se vogliamo mettere fine all’austerità che an- cora ci perseguita. Il punto da cui partire è che si sono raccontate molte falsità ri- spetto al nostro debito pubblico, liardi di dollari di esportazioni (al 2017) contende agli Stati Uniti il secondo posto fra gli esportatori mondiali, dopo la Cina. Ma mentre gli Stati Uniti registrano un debito commerciale nei confronti del re- sto del mondo pari a 566 miliardi di dollari, la Germania registra un avanzo di 250 miliardi. Indiscutibilmente il successo tede- sco ha subìto un’accelerazione con la nascita dell’euro. E se nel 1999 aveva un saldo commerciale nega- tivo pari all’1,7% del Pil, nel 2008 lo troviamo positivo del 6,8% per raggiungere il 7,6% nel 2016. Altrettanto indiscutibilmente una forte spinta è provenuta dalle riforme del lavoro, realizzate tra il 2002 e il 2005, che vanno sotto il nome di riforme Hartz (in tedesco Hartz-Konzept ), dal nome del suo proponente. Oltre a una maggiore libertà di licenziamento, esse com- prendevano l’ampliamento delle forme di assunzione, ivi compresi i mini-jobs retribuiti in forma forfet- taria con salari non superiori ai 450 euro mensili. Inoltre, con l’in- gresso nell’Unione europea del- l’Ungheria e di altri paesi dell’Est, la Germania ha anche potuto trarre vantaggio dall’esportazione di fasi produttive in questi paesi che hanno un costo del lavoro an- che dieci volte più basso. Tuttavia, non si può neanche tacere il ruolo della formazione e degli investi- menti in sviluppo e ricerca, che hanno permesso alle imprese te- desche di accrescere considerevol- mente la loro produttività e, quindi, di ridurre i prezzi pur au- mentando i salari. Vincitori e vinti secondo l’istituto tedesco Cep A tutto questo, molti però aggiun- gono che la fortuna della Germa- nia è stata costruita anche sull’uso di un euro che, essendo ancorato all’economia di un continente che non ha la sua stessa solidità, di fatto è sottovalutato rispetto alle capacità produttive tedesche. Come dire che la Germania usa uno strumento monetario truc- cato che la rende artificiosamente più competitiva. Seppure sia im- possibile stabilire quanta parte del successo tedesco sia imputabile all’uso di un euro sottovalutato, ri- la principale delle quali è che siamo indebitati perché abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità. La verità è che non siamo stati capaci di tenere la corsa con gli interessi e ogni anno accendiamo nuovo debito per pa- gare gli interessi non coperti dal ri- sparmio realizzato dalla pubblica amministrazione. Questa storia non può durare in eterno. Non si può continuare all’infinito a farci mungere per arricchire banche, assicurazioni e altri investitori. La montagna di interessi che ab- biamo pagato a questi signori dal 1980 a oggi supera i 2.000 miliardi di euro. Fin dove vogliamo arri- vare? Azzerare il debito pubblico L’unico modo per uscire da questo meccanismo infernale è azzerare il nostro debito pubblico, ma toglia- moci dalla testa di poterlo fare pa- gandolo: è diventato troppo grande per essere ripagato. Esso potrebbe essere azzerato solo buttandolo sulle spalle della Banca centrale europea, l’unica che può caricarsi di debiti senza rischiare di subire ricatti. Come massima au- torità capace di emettere moneta non rischia di fallire, né di subire attacchi speculativi, mentre può gestire interessi e capitale con una varietà di strumenti molto più am- pia di quelli a disposizione dei go- verni. Vari studi hanno dimostrato la fattibilità di questa ipotesi, ma il vero ostacolo sono i trattati euro- pei che escludono ogni possibilità di coinvolgimento diretto della Bce con i debiti pubblici. Dunque, è da qui che bisogna partire. Ma i nostri rappresentanti politici vo- gliono farlo? Un modo per capirlo è chiedere ai candidati delle pros- sime elezioni europee (23-26 mag- gio 2019) come pensano che vada gestito il debito pubblico. Se vi ri- spondono che la strada è la cre- scita, diffidate: è il paravento che tutti usano per imporci la solita vecchia ricetta dell’austerità che tanto ci danneggia. La soluzione è in mano all’Europa, ma verrà solo se essa sarà rifondata. Ora che stiamo per andare a votare anche noi possiamo decidere quale Eu- ropa vogliamo. Francesco Gesualdi MAGGIO2019 MC 29 • Unione europea | Euro | Germania | Italia • R MC

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