Missioni Consolata - Aprile 2019

Cooperando… © Ennio Massignan / deforestazione in RD Congo rometro pubblicato lo scorso set- tembre, gli italiani nel 2017 erano più convinti rispetto all’anno pre- cedente che affrontare il pro- blema della povertà nei paesi in via di sviluppo dovrebbe essere una priorità sia per l’Unione euro- pea che per il governo italiano. Ri- spetto alla rilevazione del 2016, inoltre, gli intervistati favorevoli a che l’Ue e i suoi stati membri spendessero di più per aiutare i paesi poveri erano aumentati del 10% @ . La crescente sensibilità verso que- sto tema è con tutta probabilità legata al fenomeno migratorio e all’urgenza di trovare soluzioni per gestirlo: l’arrivo di migliaia di esseri umani sulle coste europee ci ha spinti a chiederci quali siano i motivi che portano i migranti ad affrontare un viaggio così dram- matico e i rischi mortali ad esso connessi. A fronte di questa mag- gior sensibilità verso lo sviluppo, lasciare intendere - con afferma- zioni pressappochiste - che la coo- perazione sia lo strumento per una soluzione raggiungibile nello spazio di una legislatura rischia di peggiorare, e di molto, le cose. Perché crea aspettative che, sem- plicemente, non possono che es- sere disattese e getta le basi per un pericoloso passaggio succes- sivo: se la cooperazione non serve, non facciamola più. domande non solo sugli interventi sui quali concentrarsi ma anche su come misurare i risultati. Euractiv , rete di media europei che segue l’attualità e il dibattito sui temi rivelanti per l’Ue, ne ha parlato con Sarah Holzapfel, eco- nomista e ricercatrice specializ- zata sull’agricoltura all’ Istituto Te- desco per le Politiche dello Svi- luppo (Die). Non basta, sottolinea Holzapfel, citare come risultati il numero di chilometri di strade co- struiti o l’acqua fornita con i pro- getti idrici. «Le vite dei gruppi be- neficiari sono cambiate? Il loro reddito è cresciuto? La sicurezza alimentare è aumentata?». Que- ste sono le domande da porsi per capire qual è l’impatto della coo- perazione. E, in mancanza di cri- teri comuni e di sforzi coordinati fra tutti i donatori, compiere que- ste misurazioni è a oggi estrema- mente complicato @ . Non bisogna inoltre dimenticare che parte delle difficoltà a misu- rare non solo i risultati ma anche i problemi da affrontare deriva dalla molto variabile disponibilità di dati statistici e dalla loro non sempre immediata comparabilità. È un’informazione che fatica a farsi strada fino alle pagine degli esteri dei quotidiani nazionali e, meno ancora, dei Tg della sera, eppure è fondamentale. Haishan Fu, direttrice della se- A che punto siamo Il mondo dello sviluppo non solo è lontano dall’essere una bancarella di bacchette magiche capaci di ri- solvere velocemente i problemi se solo ci si decidesse a usarle; è an- che un mondo inquieto e per- corso in profondità da dubbi e contraddizioni. Sono passati dieci anni da quando il libro Dead Aid (in italiano: La carità che uccide ), scritto dall’economista zambiana Dambisa Moyo, ha ferocemente criticato il sistema degli aiuti. «Negli ultimi cinquant’anni», scri- veva Moyo nell’introduzione, «più di mille miliardi di dollari di aiuti allo sviluppo sono stati trasferiti dai paesi ricchi verso l’Africa. Que- sta assistenza ha migliorato la vita degli africani? No. In realtà, in tutto il globo, i beneficiari di que- sto aiuto stanno peggio. Molto peggio». E solo quattro anni fa la comunità internazionale si sedeva (simbolicamente) intorno a un ta- volo per constatare che gli Obiet- tivi di sviluppo del Millennio, trionfalmente lanciati nel 2000, non erano stati completamente raggiunti @ . Oggi, mentre gli Obiettivi di svi- luppo del Millennio hanno lasciato il posto agli Obiettivi di sviluppo sostenibile 2015-2030 , gli addetti ai lavori nelle agenzie internazio- nali, nei governi e nelle Ong stanno ancora ponendosi molte

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