Missioni Consolata - Marzo 2019

MC R sulti, le offese, le botte e le ferite che gli Uroni mi infliggevano, aizzati dai loro stregoni. Lungo le gior- nate cercavo di essere sempre il primo per svolgere i compiti più gravosi, mi alzavo la mattina presto per accendere il fuoco che sarebbe poi stato utiliz- zato dalle diverse famiglie nelle loro tende, così come alla fine della giornata mi coricavo per ultimo dopo essermi assicurato che nel villaggio tutto fosse in ordine. Ma fu molto duro, e più volte corremmo il rischio che la missione fosse distrutta. Nonostante l’ostilità degli stregoni e le calun- nie nei vostri confronti, voi continuaste la vo- stra presenza nella confederazione delle tribù degli Uroni. Dopo le epidemie noi continuammo e intensifi- cammo la nostra presenza tra gli Uroni e fondammo nuove missioni, intraprendendo viaggi avventurosi e rischiosi sia per l’ostilità degli «uomini medicina» (che noi spesso liquidiamo come stregoni ) che per le razzie degli Irochesi. Durante uno di questi viaggi ebbi una brutta caduta sul ghiaccio e così fui co- stretto a restare nella missione centrale a Québec dove mi diedero il compito di coordinare i riforni- menti. Impegno non facile perché spesso i nostri convogli venivano attaccati e depredati da razziatori Irochesi, sempre più aggressivi, che rubavano i rifor- nimenti e le pellicce raccolte dagli Uroni. Sono nel 1644 potei tornare nelle terre degli Uroni a tempo pieno. Ma quando le razzie degli Irochesi si trasforma- rono in una vera guerra contro gli Uroni, per voi cambiò tutto. Negli anni 1647-48 tra le due popolazioni indigene scoppiò una vera e propria guerra «di sterminio», che terminò con l’annientamento quasi totale degli Uroni e di conseguenza con l’apparente annulla- mento della nostra opera missionaria. Le guerre tribali non erano una novità tra i popoli di quelle regioni, ma quest’ultima fu particolarmente feroce per varie ragioni. Le tribù Irochesi (Mohawk, Imparai bene la loro lingua tanto da scrivere un di- zionario per aiutare gli altri missionari. Scrissi anche un catechismo. Quei due testi sono diventati una delle poche testimonianze rimaste della lingua e cultura degli Uroni dopo il loro annientamento av- venuto qualche decennio più tardi. Fui poi richiamato a Québec per un nuovo incarico. Proprio quando la città di Québec e la colonia francese furono occupate dagli inglesi e i mis- sionari cattolici a malincuore dovettero la- sciare il Canada e ritornare in patria. Infatti. Anch’io fui rispedito in Francia quando, nel 1629, gli inglesi conquistarono la città con un colpo di mano. Però, dopo un accordo di pace con l’Inghil- terra (nel 1632), la Francia riebbe quella parte del Canada e anche i Gesuiti ritornarono nelle loro mis- sioni. Rientrai nel 1633 e fui mandato fra gli Uroni per condividere la loro esistenza molto semplice e continuare così l’opera di evangelizzazione appena abbozzata. Se non vado errato tra il 1634 e il 1639 ci furono violente epidemie di vaiolo, dissenteria e influenza che colpirono voi e decimarono la popolazione locale. Noi missionari fummo i primi a essere colpiti da quelle malattie portate dall’Europa. Anche se privi di forze, debilitati e convalescenti, ci demmo da fare in ogni modo per aiutare tutti, nonostante l’av- versità degli stregoni, che ci ritenevano responsabili dell’epidemia e aizzavano la gente contro di noi. Va detto che avevano tutte le ragioni per accusarci, ma in quel tempo nessuno sapeva che eravamo noi stessi i portatori di quelle malattie che erano com- pletamente sconosciute agli indigeni, malattie che si diffusero rapidamente tra gli Uroni causando moltissimi morti e decimando la popolazione. E tu come vivesti quegli eventi? Quello fu uno dei momenti più difficili della mia vita missionaria. Da parte mia sopportavo con infinita pazienza, e sempre con il sorriso sulle labbra, gli in-

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