Missioni Consolata - Marzo 2019
50 MC MARZO2019 D comunità cinesi) accorcia le distanze in un territo- rio. Si sa, fra i migranti cinesi per i quali le guānxì , le relazioni, i legami sono il principale e più attendi- bile modo di comunicare. Si sa che in Italia è così: quando si denuncia qualcuno che non è un tuo con- nazionale rischi di non essere creduto. E magari anche pestato. Alcuni membri della comunità sono stati picchiati da «certe forze dell’ordine» che avrebbero dovuto solo raccogliere la testimonianza e verificare «le autorizzazioni a stare»: oggi quel- l’autorizzazione è il documento di permesso sog- giorno. «Certi carabinieri funzionari dell’ordine pubblico - ribadisce la madre di Yŏng - 没有教 Méiyŏu jiào, non hanno insegnamento». Anche se hanno più possibilità di trasporto e comu- nicazione, certi detentori che abusano del loro po- tere non si metterebbero mai in viaggio come fece invece Ai Tian davanti a «un ospite indesiderato», stanziatosi nella capitale, quale era stato Matteo Ricci. E nemmeno quei carabinieri sarebbero stati capaci di rimanere fermi davanti al dubbio, per giungere ad una verità più profonda. Non abba- stanza fermi davanti al dubbio, come rimase fermo Matteo Ricci, accettando il rischio di essere espulso dall’impero per un mancato permesso. Il viaggio e il valore della diversità Entrambi, Ai Tian e Li Madou, l’ebreo cinese di Kaifeng e il gesuita italiano di Macerata, seppero restare custodi di un’insufficienza di fronte alla tra- duzione e resero possibile l’incontro di due mondi proprio perché mantennero viva la curiosità per «l’assolutamente diverso», l’uno dell’altro, che ve- niva incontro. Nel dialogo, non cedettero alle lusin- ghe di preconcetti e di linguaggi tecnicisti che avrebbero facilmente creato distanze interpreta- tive, con inimicizia e diffidenza. Seppero, pur nei loro silenzi, guardare alle analogie, alle immagini; seppero cercare la traduzione, pur non conoscendo bene l’uno la lingua dell’altro. Seppero rimanere aperti al futuro, anche se mancavano le parole del passato poiché quell’incontro fu il primo inedito, storico. Fra un funzionario mandarino confuciano ebreo e un missionario, gesuita, cattolico, italiano. Oggi si è più vicini grazie alle connessioni internet, si viaggia con più rapidità, si può disporre in pochi secondi di tutte le traduzioni negli spazi virtuali del web, tuttavia con più facilità si edificano prigioni di comunicazione davanti allo schermo di un compu- ter. Manca il coraggio di intraprendere un viaggio, il coraggio di vivere il valore della diversità nel dia- logo, di incontrare l’identità «assolutamente altra» assumendosi tutti i rischi che una mancata ten- sione verso una cultura di pace può causare. La guerra è già oggi scontro di civiltà. E la pace ri- chiede responsabilità e risposte da parte di tutti. Tempi inediti ci attendono per vivere il coraggio «in quel punto zero in cui si apre a sorpresa il Cielo» 19 . Non serve, come mi ha insegnato Jun Yŏng , essere degli eroi per «stare dentro» a una cultura di pace, viverla in una dimensione esperienziale, in un ge- sto, in una parola, in un rapporto umano nella nor- malità che ciascuno di noi è, con tutti i limiti del no- stro «essere persone». A volte, forse, basta solo avere il coraggio di sor- prenderci davanti alle nostre mancanze, e cam- biare sguardo: sorprenderci al punto da uscire da noi stessi per diventare partecipi della bellezza del Cielo e anche su questa nostra amata Terra - direbbe l’ebreo di Kaifeng - mettersi in viaggio per amare l’«emèt», cioè la verità (in lingua ebraica). Vittoria Pollini D Qui sopra: esercizi di calligrafia cinese con il pennello, «il mio paese». © Lydia Liu
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=