Missioni Consolata - Marzo 2019
babilmente pellegrini venuti a Gerusalemme per una delle feste di pellegrinaggio. Come tutti i pellegrini, si fidano dell’accoglienza che trovano nonostante siano magari deboli con le lingue. È però vero che nelle regioni attorno al Mediterra- neo, ormai da secoli, la lingua che tutti capi- scono all’epoca di quei fatti è il greco (sarebbe come dire l’inglese per noi oggi), ben diffuso in Cappadocia, Ponto, Asia, Frigia e Panfilia - quella che per noi oggi è la Turchia - e nell’Africa del Nord Est (Egitto e Cirenaica), nonché a Roma e a Creta. Appena più a oriente, l’aramaico è la lin- gua madre degli abitanti della Mesopotamia (e forse già della Giudea, quasi di sicuro della Gali- lea), ampiamente conosciuta e utilizzata come lingua dei commerci e dei viaggi dai Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia e dell’Ara- bia. Un osservatore neutrale e un po’ malizioso, insomma, ridimensionerebbe probabilmente di molto la portata del miracolo. Per farsi capire ai discepoli bastava parlare nella loro lingua madre per raggiungere già metà della folla lì presente. Sicuramente poi tra loro c’era qualcuno in grado di tradurre anche in greco - ricordiamo che Gesù stesso sapeva parlare in quella lingua (cfr. Mt 15,21-28) -, ed ecco che così raggiungo l’altra metà. Mettersi a parlare tante lingue strane non sembrava davvero necessario. Il senso C’è allora qualcosa che Luca vuole suggerirci, con l’episodio che narra in Atti 2,1-13? Forse questo. Dio con la Pasqua ha mostrato di volere la vita dell’uomo, e che Gesù era dav- vero chi pretendeva di essere. Ma la Pasqua ri- schia di restare soltanto un evento che si chiude su Gesù. Invece l’opera di Gesù deve essere por- tata a compimento, e questo avviene a partire dalla Pentecoste, quando Dio, nella forma dello Spirito Santo, si prende cura di entrare nei cuori dei suoi fedeli, per renderli testimoni coraggiosi e - soprattutto - affidabili. E non va solo nel gruppo ristretto degli apostoli, ma in ciascuno. Ognuno dei credenti è dotato di Spirito, per comprendere Gesù e per annunciarlo. E non è soltanto un annuncio che risulta comprensibile, ma suona davvero intimo, diretto, personale, come se detto nella lingua o nel dialetto che più ognuno ha nel cuore: diventa una comunica- zione sorprendentemente interessante, com- prensibile, attraente per gente proveniente da ogni dove, quali che siano i loro retroterra e i loro modi di pensare. Il cuore del racconto, al- lora, non è il prodigio, ma una promessa davvero consolante e rasserenante per la chiesa di ogni tempo e luogo: Dio si farà capire, perché parla al cuore dell’essere umano. Di ogni singolo essere umano. Angelo Fracchia (2 continua) 32 MC MARZO 2019 Una Chiesa in uscita tutt’altro che ubriachi (At 2,13-15). Ma davvero le cose sono andate come ho ap- pena ricostruito? Uno dei motivi per cui è tanto prezioso tornare a rileggere i testi biblici è che spesso li ricordiamo in modo approssimativo dipendendo dal come ce li hanno raccontati o dal come noi li abbiamo inter- pretati nelle situazioni in cui ci trovavamo. Questa imprecisione non è segno della nostra scarsa at- tenzione, tutt’altro! La nostra memoria non ri- corda mai ciò che è accaduto, ma il significato che ha avuto per noi. Quello che ricordiamo del testo spesso lo abbiamo memorizzato così perché allora era per noi significativo così. Ma tornare al testo ci permette di risintoniz- zarci con l’originale , così da scoprirlo ancora ricco e profondo per la nostra vita, a volte anche in modi che ci risultano nuovi. Se vogliamo ad esempio iniziare a restituire la parola al brano, notiamo intanto che non è chiaro quanti siano i protagonisti (Spirito Santo a parte): si tratta davvero dei «dodici», oppure di qualcun altro? «Erano tutti insieme nello stesso luogo» (At 2,1). Sì, ma tutti chi? Subito prima, nel capitolo precedente, si era detto che gli undici erano ridi- ventati dodici, ma a fare la scelta dei candidati e l’estrazione a sorte del dodicesimo erano state in realtà centoventi persone (At 1,15). Sembrerebbe più logico che questi siano i «tutti». Quindi, ciò che accade non è riservato alla cerchia più importante che guida la comunità, ma tocca tutti i «fratelli». Poi, al versetto 2, arriva un « fragore », qualcosa che succede da fuori ma non è comprensibile (al v. 6 il greco non parlerà più di «fragore» ma di «voce», anche se nella traduzione Cei la differenza non è così chiara), e appaiono «lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro» (At 2,3). Luca sa come raccontare bene, sa che abbiamo bisogno di immagini per intuire qual- cosa; e, insieme, è un teologo preciso, consapevole che l’opera di Dio si può narrare sì, ma solo per ap- prossimazione. Non è fuoco, quello che scende su di loro, ma semmai «vento» (Spirito, appunto...), e si mostra con «lingue come di fuoco». Si vede qualcosa, insomma, e quel qualcosa chiaramente scende su «ognuno» dei presenti, ma non si riesce a definire proprio bene di che cosa si tratti. C’è una fonte unica, ma la sua espressione è molteplice. C’è un solo Spirito, ma le lingue parlate sono tante. Se Dio è uno, il modo con cui le per- sone vivono la loro relazione con lui non è sempre la stessa. Geografia biblica Luca sembra volerci lasciare a bocca aperta, of- frendoci un elenco di tutti i luoghi da cui proven- gono i presenti. Se guardiamo con attenzione il suo elenco, però, non possiamo non porci alcune do- mande. Non stupisce, innanzi tutto, che i luoghi citati siano i luoghi nei quali, in quei tempi, c’è una forte presenza ebraica. Le persone lì presenti sono pro-
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